Perché la Gran Bretagna ha abbandonato l’Erasmus

Dietro la decisione di non partecipare allo scambio socio-culturale  inventato dall’italiana Sofia Corradi ci sono ragioni economiche. Lo afferma il primo ministro inglese Boris Johnson.  Che però non tiene conto delle perdite legate ai mancati introiti  che la partecipazione al programma assicurava al suo Paese

Durante la conferenza stampa in cui ha annunciato il raggiungimento dell’accordo  commerciale con l’Unione Europea post-Brexit, il primo ministro britannico Boris Johnson ha anche confermato che Londra ha deciso di non rinnovare la sua partecipazione al progetto  Erasmus, l’ormai trentennale programma di scambi fra studenti europei e neppure al più recente  Erasmus Plus, che estende gli scambi a docenti e  volontari anche nell’ambito dello sport. “Sull’Erasmus è stata una decisione dura” ha commentato  Johnson, aggiungendo che il programma di scambio europeo, il cui nome è un esplicito omaggio  alla filosofia della tolleranza di Erasmo da Rotterdam, sarà sostituito da un più patriottico piano  Turing, dal nome del genio matematico britannico  che ha decodificato i codici nazisti durante la seconda guerra mondiale. Non più di un anno fa, il  primo ministro britannico aveva invece rassicurato il proprio parlamento circa il fatto che “il programma Erasmus è in mani sicure”. La decisione  conferma la volontà britannica di recidere ogni  legame, anche culturale, con il progetto europeo,  e per questo è stata percepita come particolarmente dolorosa anche dal capo negoziatore europeo  Michel Barnier, che ha commentato: “Ho due rimpianti riguardo alla nostra cooperazione sociale,  e il maggiore è la scelta del governo britannico di non partecipare più all’Erasmus”. Un rimpianto  condiviso anche da alcune voci autorevoli nel Regno Unito, fra cui la First Minister scozzese Nicola  Sturgeon, campione dell’indipendentismo scozzese ma fra le maggior critiche della Brexit: “Porre  fine all’Erasmus – una iniziativa che ha ampliato  opportunità e orizzonti di così tanti giovani – è un  vero e proprio esempio di vandalismo culturale”.
Al di là delle chiare ragioni geopolitiche e di propaganda, Johnson ha giustificato la scelta con una  motivazione economica: Erasmus ed Erasmus  Plus sarebbero troppo costosi. “Il problema è che il  Regno Unito è un contributore netto all’economia  della formazione superiore del continente. Negli ultimi decenni abbiano avuto così tanti partecipanti  europei, che pure è una cosa meravigliosa, che il  nostro ministro dell’Economia perde denaro. L’Erasmus per noi è troppo costoso”. I dati confermano solo in parte quest’analisi: per  una serie di fattori vincenti, fra cui il prestigio e la  capacità ricettiva dei suo atenei, la diffusa conoscenza dell’inglese, il livello delle sue infrastrutture, l’ambiente multiculturale, il Regno Unito è effettivamente una delle destinazioni europee preferite dagli studenti Erasmus. Per capirlo, guardiamo le  cifre per il 2019. Del bilancio annuale complessivo  da 3,37 miliardi di euro, alle borse di studio per  lo studio all’estero sono stati destinati nel Regno  Unito 144,69 milioni per 54.619 partecipanti in 684  progetti, ma a partire sono stati in totale 18.305 fra  studenti e praticanti, contro i 30.501 arrivati come  ospiti di istituzioni britanniche. Anche alla  voce staff il bilancio è di 3.962 outgoing contro 4.693 incoming.  Per fare un confronto  per quanto possibile vicino per capacità di attrazione guardiamo a Francia e Spagna. La prima, destinataria di finanziamenti  da 188.49 milioni per 108.126 partecipanti e 1.962  progetti, ha un totale di 49.066 persone in uscita  contro le 31.063 in entrata, mentre per lo staff sono  usciti in 4.098. Per la popolarissima Spagna, 185  milioni di euro per 92.427 partecipanti e ben 2.862  progetti, i partecipanti in uscita, cioè residenti in  Spagna che hanno studiato all’estero, sono 44.052;  quelli in entrata, in visita, 52.830 e per quanto riguarda lo staff, siamo a 7.008 contro 9.267. Insomma, rispetto agli europei i britannici approfittano  poco delle opportunità della mobilità europea. Ma ci sono altri numeri da considerare. A marzo  scorso un gruppo di vice-presidenti di atenei britannici aveva avvertito che perdere l’accesso al  programma europeo avrebbe aperto un buco nell’economia britannica. Secondo Universities Uk, l’associazione dei dirigenti delle università britanniche,  solo l’Erasmus Plus crea una ricchezza netta di 243  milioni l’anno. Ci sono poi i profitti non quantificabili o quelli intangibili: dall’apertura mentale alla  creazione di rapporti personali e di collaborazioni  professionali.
Che cosa offre il piano Turing? Nelle intenzioni  del governo britannico, una mobilità internazionale globale, oltre i confini europei, per la quale è stato previsto un primo stanziamento di 100  milioni di sterline per 35mila studenti, a partire  dal settembre 2021 quando scadranno i progetti  Erasmus+ tuttora in corso. Con un focus sui giovani più bisognosi per carenza di mezzi familiari.  Non prevede però, almeno per il momento, alcuno  scambio. È cioè riservato agli studenti che vogliano formarsi all’estero: una lacuna molto criticata  perché priverebbe il Paese dei benefici pedagogici,  finanziari e di soft power derivanti dalla partecipazione di studenti stranieri. L’ultima parola è per Sofia Corradi, la docente italiana che ha il merito di aver concepito il programma Erasmus: “La decisione britannica non mi ha  fatto piacere, ma non ne farei una tragedia”. Del  resto, “i britannici non hanno mai manifestato un  grande entusiasmo per l’Erasmus”. Ed è un peccato  perché “lo studente che va in Erasmus non diventa  un professionista migliore, diventa piuttosto una  persona migliore”.

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