Gabriella Greison si racconta: così ho creato la mia narrativa della fisica

Laureata in fisica, giornalista e dal 2016 attrice, Gabriella Greison ha saputo trovare nella scrittura e nel teatro una propria via originale di divulgazione scientifica: “Ho studiato molto, ho lavorato sul linguaggio e ho creato la mia narrativa della fisica”

Fisica, scrittrice, giornalista, attrice di teatro, divulgatrice… lei è tante cose insieme. “La donna della fisica divulgativa italiana” secondo l’Huffington Post, la “rockstar della fisica” secondo il Corriere della Sera. Da dove nasce questo suo desiderio di divulgare la sua materia e soprattutto da dove l’idea di divulgarla in maniera così innovativa?

È stato strano: quando mi sono laureata in fisica a Milano mi è venuto il desiderio grande di dire a tutti quanto è stato bello: i professori che ho seguito, con cui ho studiato, da cui mi sono fatta inebriare di racconti erano strepitosi. Loro mi hanno fatto vedere la fisica, prima – al liceo – non se ne ha minimamente la percezione di quanto tutto quello sia bello. Loro mi hanno fatto conoscere i grandi fisici del XX secolo come se fossero amici con cui parlare ogni giorno. Ed erano personaggi molto interessanti. Decisi di andare a Parigi per lavorare in un gruppo di ricerca internazionale, perché l’ambiente scientifico mi attraeva parecchio: e così è stato all’Ecole Polytechnique, dove ho conosciuto fisici molto in gamba e di livello eccezionale. Con il merito che prevaleva su ogni altro aspetto. Sono tornata in Italia con l’idea di creare la narrativa della fisica: che mancava in Italia, come in Europa.

 

 

Forse la parola “contaminazione” è quella giusta per spiegare il suo lavoro? E una carriera da attrice di alto profilo. Come ha fatto una fisica a spostarsi a teatro?

Quando mi sono laureata in fisica avevo la fissa per la foto scattata nel 1927, la vedevo ovunque. Poi a Parigi, all’Ecole Polytechnique era una gigantografia all’ingresso. Era un’ossessione quella foto per me. E così appena capii che poteva essere il momento giusto, andai a Bruxelles e mi misi a fare le ricerche per approfondire quella foto. Ricerche che durarono anni. Andavo avanti e indietro dall’Italia in Belgio. Finalmente, quando le cose stavano cambiando e tirava l’aria giusta, capii che quelle ricerche potevano diventare un romanzo. Il romanzo è stato “L’incredibile cena dei fisici quantistici”, edito da Salani. Un boom pazzesco. E dopo il romanzo ho creato “1927 Monologo Quantistico”, perché alle presentazioni del mio romanzo nel 2016 venivano centinaia di persone, e allora un regista milanese (Emilio Russo) si è incuriosito e mi ha proposto di portare nel suo teatro il monologo che da sola portavo nelle librerie, negli auditorium. Facemmo un lavoro, e creammo la versione teatrale. Da allora abbiamo fatto oltre 200 repliche nei teatri di tutta Italia, quasi tutti sold out, soltanto a Milano siamo arrivato a 50 repliche. Ho riempito anche l’Auditorium di Roma, Sala Sinopoli da 1200 posti piena, una straordinaria conquista.

Poi come è proseguita la sua carriera?

Dopo “L’incredibile cena” è stato il momento di “Sei donne che hanno cambiato il mondo” (per Bollati Boringhieri) da cui ho fatto nascere il monologo “Due donne ai Raggi X – Marie Curie e Hedy Lamarr, ve le racconto io”. Dopo ho pubblicato “Hotel Copenaghen” (per Salani) sulla scuola di Copenaghen creata da Niels Bohr, un posto magnifico che non potevo non raccontare. Ecco le mie esigenze: scrivo romanzi perché ci sono storie che ‘non posso non raccontare’. Poi ho pubblicato “Einstein e io” da cui ho fatto nascere “Einstein & me” il monologo teatrale sulla vita di Mileva Maric, ho fatto un lavoro con la regista (Cinzia Spanò) strepitoso, lei è bravissima, e io con lei di fianco ho imparato tanto: ho riempito anche il Teatro Rossetti di Trieste e il Politeama di Genova, due teatri da mille posti! L’ho portato anche a Zurigo, e tante date in Svizzera, e pure in Austria.

Poi ho scritto “La leggendaria storia di Heisenberg e dei fisici di Farm Hall”, in cui racconto di una storia formidabile e che nessuno conosce, all’interno della villa di Farm Hall: anche questa storia ha uno spettacolo, è omonimo, e tutte le informazioni si trovano sul mio sito per averlo. Farm Hall è stato il primo Grande Fratello coatto della storia, fatto solo con i fisici. A corredo ho arricchito il racconto con la storia di Lise Meitner, e l’approfondisco in uno spazio a parte. Il racconto delle grandi donne della scienza, visto il periodo che stiamo vivendo, è il mio faro.

Un vulcano in piena eruzione, anche in questo difficile 2020 nulla sembra poterla fermare! E dopo “Einstein forever” (Bollati Boringhieri), il racconto appassionato di come un “semplice” fisico abbia cambiato il mondo e sia diventato un genio iconico e un personaggio universalmente riconosciuto, ecco il recentissimo “Ucciderò il gatto di Schrödinger” (Mondadori).

 Quando vidi per la prima volta il disegno del gatto nella scatola avevo appena compiuto 14 anni, facevo la terza media, era il 2006. Mai avrei pensato che questo disegno mi avrebbe perseguitato per tutta la vita. È arrivato il momento per me di capire cosa c’è dietro. Gli enigmi non mi spaventano, basta mettere in fila i passaggi, uno dopo l’altro, facile. È la storia romanzata della vita di Erwin Schrödinger, lo scienziato per antonomasia della fisica quantistica, divenuto popolare grazie all’ideazione del suo famoso paradosso, che illustra in modo emblematico le insolite regole del mondo delle particelle: il gatto dentro la scatola da lui congegnata è vivo o morto? Oppure entrambe le cose? Protagonista del libro è Alice, una donna di 28 anni, in pieno tormento esistenziale per le scelte che deve compiere. Le viene in aiuto il suo amico immaginario, Erwin Schrödinger, prima semplicemente un poster in camera sua, poi presenza fissa nei suoi sogni. L’avvincente dialogo con il fisico austriaco genererà in lei la passione per la fisica quantistica, che l’accompagnerà nella crescita personale.

 

Come è riuscita a creare tutto questo?

Ho lavorato molto, soprattutto per il teatro, sul mio modo di parlare in pubblico, sul linguaggio. Il lavoro è stato lungo. Ho studiato tanto. Ora ho creato la mia narrativa della fisica, e quindi posso esprimermi lì dentro. A teatro poi su di me hanno lavorato fior fiori di registi teatrali bravissimi, e di lunga esperienza: devo tantissimo a loro. La mia sicurezza sul palco, il mio modo di occupare gli spazi. Io continuo a crescere, inarrestabile, giorno dopo giorno, non mi fermo un attimo, di crescere, di imparare, vado sempre avanti. Sono fatta così.

Vengono tantissimi ragazzi ai tuoi spettacoli, e nel web tra i giovani spopola, così come sui social. Un consiglio per i ragazzi?

Un consiglio da dare ai ragazzi? Gliene do tutte le volte che mi fermano dopo un monologo nei foyer dei teatri. Dico a tutti di oziare, come consigliava Einstein. E poi: non state con chi non vi fa fiorire.

Idee per il futuro?

Tantissime! Seguitemi sul mio blog Greison Anatomy e sarete sempre informati!

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