Intervistiamo il climatologo Antonello Pasini: ecco l’equazione del disastro

Frane, allagamenti, tempeste, l’ennesimo picco di acqua alta a Venezia, le tragedie idrogeologiche in Liguria e Piemonte… che cosa sta succedendo al nostro Paese? Perché sempre più spesso assistiamo impotenti ad avvenimenti di una violenza sconosciuta alle nostre latitudini? Ne parliamo con Antonello Pasini, climatologo del Cnr e docente di fisica del clima all’università di Roma Tre

 

Buongiorno Antonello, un tema molto delicato quello affrontato nel tuo libro. Da molti ignorato, da altri sottovalutato e oggetto di continue fake news… eppure oggi fondamentale e che ci tocca in prima persona. Infatti mai come ora anche l’Italia sembra esposta a fenomeni meteorologici estremi, che eravamo abituati a vedere solo alla televisione in Paesi lontani. Cosa sta succedendo?

Buongiorno a voi, purtroppo è proprio così. Il mondo si è scaldato, in atmosfera c’è più energia, la circolazione dell’aria nel Mediterraneo è cambiata. Il riscaldamento globale di origine antropica ha portato la circolazione equatoriale e tropicale ad amplificarsi verso nord: anticicloni, che fino a qualche decennio fa rimanevano stabilmente sul deserto del Sahara, adesso invadono molte volte il Mediterraneo. Quando arrivano da noi creano enormi ondate di calore, quando si ritirano nuovamente sull’Africa lasciano la strada aperta ad influssi freddi da nord che, arrivando su un territorio e un mare molto caldi, creano precipitazioni intense e alluvioni lampo.

 

Le trasformazioni climatiche su di un Paese idrogeologicamente fragile come il nostro possono avere conseguenze devastanti. Come può difendersi l’Italia?

È chiaro che la fragilità del territorio e la sua eccessiva, e qualche volta abusiva, antropizzazione rendono molto più gravi gli effetti finali degli eventi estremi di carattere meteo-climatico. L’Italia può contribuire alle attività di “mitigazione” del riscaldamento globale con un piano di riduzione di emissioni all’interno del Green deal europeo, ma deve puntare anche ad un concreto “adattamento” al cambiamento climatico già in atto. In questo senso esiste una Strategia nazionale di adattamento e si sta discutendo un Piano più operativo; ma è necessario che ogni comune si doti di un piano municipale per capire in quali specifiche zone ci possano essere danni, perché solo il sindaco e i suoi collaboratori, che sono sul territorio, sono in grado di saperlo e di far prendere specifiche precauzioni alla popolazione.

 

Personalmente quali azioni o quali accorgimenti possiamo mettere in pratica per contribuire a ridurre l’impatto del cambiamento climatico?

Ognuno di noi può fare qualcosa per ridurre il riscaldamento globale, ad esempio cambiando il proprio stile di vita, innescando circuiti virtuosi dal basso di consumo e risparmio energetico, spingendo sui nostri politici perché adottino politiche climatiche adeguate. Ma possiamo agire anche per diminuire la fragilità del territorio e la nostra esposizione ai pericoli. Perché costruire dove non si può, per esempio nell’alveo di un fiume? Non si tratta di una “furbata” per aggirare la legge, ma di un rischio enorme per l’incolumità dei nostri beni e della nostra vita.

 

 

Da fisico del clima, grazie alla matematica, hai costruito una vera e propria “equazione dei disastri”. Ce la spieghi?

È un’equazione molto semplice già in uso per calcolare il rischio R da eventi naturali: R = P × V × E, dove qui P è la pericolosità degli eventi estremi di carattere meteo-climatico, V è la vulnerabilità del territorio ed E è la nostra esposizione a questi eventi. I fattori sono espressi in termini di probabilità, dunque R è un numero tra 0 e 1. Il problema oggi è che i tre termini di questa equazione stanno tutti aumentando per via delle nostre azioni, P per i cambiamenti climatici di origine antropica, V ed E per un’antropizzazione poco “rispettosa”. Ma la buona notizia è che tutto è nelle nostre mani: possiamo agire su tutti tre i fattori per minimizzarli e dunque rendere più piccolo il rischio.

 

Può essere uno strumento utile come strumento di previsione? O è una semplificazione eccessiva della complessità del reale?

Ovviamente si tratta di una semplificazione, ad esempio la corretta applicazione di questa equazione richiederebbe che le probabilità dei singoli fattori fossero indipendenti, mentre talvolta non lo sono. In definitiva, però, l’equazione dei disastri ci mette di fronte chiaramente alle nostre responsabilità e ci mostra come dovremo agire in futuro per minimizzare il rischio. In questo senso, come per i modelli climatici, ci si aprono davanti vari scenari: a noi scegliere quale percorrere nel futuro.

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