Il caso di padre Paolo Benanti, il francescano membro della commissione Onu per l’Intelligenza artificiale, non è il solo. Si deve a un religioso, padre Roberto Busa, lo sviluppo degli studi sulla linguistica computazionale. Così come Mary Kenneth Keller: era una suora e fu la prima donna della storia a conseguire il dottorato in informatica presso l’università di Madison. C’è stata un’epoca nella storia occidentale, il Medioevo, nella quale prendere i voti religiosi era l’unico modo per accedere al sapere tramite le università, le biblioteche e il contatto con altri studiosi. Le grandi figure del pensiero medievale, da Scoto Eriugena a Gerberto d’Aurillac (un papa!), da Anselmo d’Aosta a Pier Lombardo, da Pietro Ispano ad Alberto Magno, da Tommaso d’Aquino a Guglielmo da Ockham, erano tutti sacerdoti o frati. Il termine cattedra, inteso come insegnamento universitario, ha origine proprio nel Medioevo, quando gli insegnanti sedevano su cattedre analoghe a quelle vescovili. Con il Rinascimento e, in modo ancor più netto, con l’Illuminismo, la cultura si è secolarizzata, tanto che oggi gli studiosi delle varie discipline, dalla filosofia alla scienza, dall’archeologia alla sociologia sono prevalentemente laici. Ma ci sono appunto ragguardevoli eccezioni. Due esempi di inizio Novecento sono particolarmente interessanti: Pierre Teilhard de Chardin (1881-1955), un gesuita che fece ricerca attiva nel campo della paleontologia e della geologia (e che ebbe per questo qualche problema con la propria istituzione), e Georges Lemaître (1894-1966), il sacerdote belga che fu amico di Albert Einstein e diede dei contributi non trascurabili alla teoria della relatività. Questi esempi sono rilevanti ma, tutto sommato, non ci stupiscono, proprio perché si tratta di studiosi di argomenti un tempo oggetto della teologia (la storia della vita e la storia dell’universo) sicché questi loro interessi sembrano naturalmente connessi alla loro vocazione e riecheggiano la grande tradizione medievale. Più sorprendente è invece la presenza di religiosi nel mondo della ricerca e della tecnologia informatica, tanto che la recente salita agli onori della cronaca di padre Paolo Benanti, un francescano esperto di questioni di etica della tecnologia, ha generato curiosità e in qualche caso pregiudiziale diffidenza. Benanti è l’unico italiano membro della commissione Onu per l’Intelligenza artificiale, nonché da diversi anni membro di varie commissioni governative in materia, come quella del Dipartimento per l’informazione e l’editoria della quale è di recente divenuto presidente. Naturalmente, l’interesse per la tecnologia è mosso in questo caso dalle implicazioni sociali ed etiche, in particolare per quel che concerne l’etica di riferimento di Benanti che è quella cattolica (si tratta pur sempre di un consigliere del Papa!). Ma non si tratta dell’unico presbitero affascinato dalla tecnologia informatica: un altro esempio è quello di padre Roberto Busa (1913-2011), un gesuita nato a Vicenza ma che aveva frequentato il seminario di Belluno assieme ad Albino Luciani, il futuro papa Giovanni Paolo I. Entrato nella Compagnia di Gesù, Busa si dedicò allo studio delle lingue, in particolare delle lingue morte che ogni religioso deve o dovrebbe conoscere: l’ebraico e il greco antico, per leggere le scritture e il latino per la liturgia e leggere le opere dei padri e dei dottori della Chiesa. Ma l’evento capitale della vita intellettuale di Busa fu lo studio di San Tommaso d’Aquino: ogni studioso che si cimenti con il Doctor Angelicus necessariamente si occupa di una frazione dell’opera del grande aquinate, che consta di una sterminata sequela di libri e scritti, parte dei quali riempiono i 50 volumi delle opere complete, in corso di pubblicazione dal 1879! Durante la preparazione della sua tesi di dottorato, Busa si era posto il problema di rintracciare le occorrenze di particolari strutture sintattiche nei testi dell’aquinate. Non riuscì a trovarle nelle concordanze allora disponibili: i meno giovani ricorderanno che, prima dell’indicizzazione digitale dei testi che rende il problema di generare ricerche e concordanze sostanzialmente banale, queste andavano stilate a mano! Si dice che Ugo di Saint-Cher abbia impiegato il lavoro di 500 monaci “in parallelo” per produrre la prima concordanza della Bibbia nel XIII secolo. Non sorprende quindi come Busa comprendesse bene che una nuova stesura delle concordanze dell’opera di Tommaso d’Aquino fosse un’impresa improba, forse impossibile per un sol uomo. Erano i primi anni del secondo dopoguerra: l’Italia era un cumulo di macerie e lo sviluppo tecnologico che vediamo oggi si leggeva solo nei romanzi di fantascienza. Tuttavia, padre Busa capì che solo una macchina avrebbe potuto aiutarlo nel compilare le sospirate concordanze: nel 1949 (dieci anni prima che fosse costruito il primo computer italiano!) si mise all’opera per trovarne una e ci riuscì. A New York allacciò contatti con la Ibm fino a convincerne il presidente Thomas Watson, che aveva fondato la celebre azienda nel 1924, a fornirgli la strumentazione per intraprendere, a Gallarate, la sua visionaria e pionieristica impresa. Busa aveva valutato diverse soluzioni tecnologiche, fra le quali alcune analogiche come i sistemi a microfilm che Vannevar Bush (all’epoca l’equivalente di un Bill Gates o Elon Musk) ancora propugnava. Ma il digitale gli sembrava la soluzione giusta.
Iniziò quindi con le schede perforate, nelle quali digitalizzava le schede che i filologi avevano fino a quel momento compilato a mano per tenere traccia delle singole parole trovate nei testi che analizzavano. Nel 1951 pubblicò un lavoro in cui illustrava il suo metodo, descrivendo le macchine usate e gli algoritmi che aveva programmato al posto dei 500 monaci. Il mastodontico lavoro di concordanza degli scritti dell’Aquinate fu quindi avviato e, svolto da macchine sotto la supervisione umana, fu completato nel 1980, con la pubblicazione dell’Index Thomisticus: 56 volumi contenenti le concordanze di tutte le 11 milioni di parole del corpus per un totale di 70.000 pagine! Oggi il frutto di quel lavoro è consultabile online al sito https://www.corpusthomisticum.org/it/index.age. Gli eruditi articoli di Busa hanno avuto una profonda influenza sulla linguistica computazionale, come per esempio le sue idee sull’analisi delle frequenze e le traduzioni automatiche. Sono a buon diritto alla base delle moderne digital humanities delle quali va considerato un visionario pioniere. Basterà citare alcune sue parole, scritte nell’articolo Storia informatica di parole (1989): “A rigore, anche la tecnologia informatica, come ogni altra macchina, non è causa del progresso, bensì madre, frutto e segno. Madre d’ogni progresso è la fantasia creatrice dello spirito umano, che con lo strumento-macchina allarga il proprio dominio sulla natura, suo ambiente”. Forse ancor più sorprendente è un’altra figura religiosa, quella di Mary Kenneth Keller (1913-1985), nata lo stesso anno di Busa ma in Ohio, a Cleveland. Entrata nell’ordine delle Suore della carità della Beata Vergine a vent’anni, prese i voti nel 1940 e in seguito, nel 1943, la laurea “breve” in matematica (Bachelor of Science) e quella “magistrale” (Master of Science) nel 1953, entrambe a Chicago. Nel 1965 conseguì il dottorato in informatica presso l’università di Madison, nel Wisconsin: non solo fu la prima religiosa ma anche la prima donna a conseguire questo titolo! La sua tesi proponeva un software di calcolo differenziale simbolico. Suor Keller trascorse anche del tempo al Dartmouth college, dove fu la prima donna a occuparsi di computer e programmazione in un mondo allora desolatamente maschile. Alcune fonti attestano che ebbe modo di partecipare alla realizzazione del linguaggio BASIC, che fu inventato agli inizi degli anni ‘60 proprio in quella università e che avrebbe rivoluzionato l’informatica negli anni Settanta e Ottanta: era un linguaggio così semplice da poter essere implementato sui primi personal computer, che avevano capacità di memoria e calcolo limitatissime. Certo è che alcuni lavori teorici della infaticabile monaca testimoniano una contiguità con le tematiche portate avanti da John Kemeny e Thomas Kurtz, i due inventori del BASIC, come le catene di Markov e il ruolo delle matrici nella matematica applicata. In ogni caso, dopo il dottorato, suor Keller accettò l’offerta del Clarke College a Dubuque, nello Iowa, dove fondò il dipartimento di informatica che diresse per vent’anni occupandosi non solo di questioni teoriche che riguardavano la programmazione ma anche delle applicazioni didattiche dei computer, un progetto realmente visionario per l’epoca. Il suo impegno fu volto anche a stimolare l’ingresso delle donne nelle facoltà scientifiche e in particolare nell’informatica, un argomento di attualità oggi ma assolutamente pionieristico e difficile da portare avanti all’epoca.
Come Busa, anche Mary Keller aveva una visione e la capacità di realizzarla: in particolare capì subito le potenzialità del computer per la simulazione delle facoltà cognitive dell’uomo. Insomma l’Intelligenza artificiale, della quale ebbe a scrivere: “Per la prima volta possiamo simulare meccanicamente i processi cognitivi. Possiamo compiere studi sull’Intelligenza artificiale. Oltre a questo, il computer può essere usato per assistere gli umani nell’apprendimento. Con il tempo, se avremo studenti più maturi sempre in maggior numero, questo metodo di insegnamento assumerà sempre maggiore importanza”. Quel tempo sembra proprio arrivato.