Nelle scorse settimane, durante la “Festa di Scienza e Filosofia” di Foligno e Fabriano, il fisico Roberto Battiston, dell’università di Trento, e il filosofo della scienza Silvano Tagliagambe, professore emerito dell’università di Sassari, hanno presentato un manifesto che dopo poche ore è stato inviato anche al presidente delle Repubblica Sergio Mattarella e al ministro dell’Università e la Ricerca, Anna Maria Bernini.
“Accogliere i ricercatori in fuga dagli Stati Uniti, rafforzare la capacità scientifica europea” è il titolo del documento, accompagnato dallo slogan ReBrain Europe, parafrasi del ReArm Europe e che nel frattempo viene diffuso anche nelle università e nei centri di ricerca italiani ed europei. “Se l’America volta le spalle alla scienza, l’Europa può e deve aprirle le porte”, si legge ancora. Roberto Battiston osserva che “quanto sta accadendo negli Stati Uniti ci porta indietro di secoli rispetto a tutto ciò che dovrebbe essere una scienza moderna. Siamo testimoni di richieste crescenti di rientri dagli Usa in Europa”.
Dovremmo prepararci a una nuova “invasione” (giusto per usare un termine caro ai più)? Con il tempo abbiamo imparato a distinguere i migranti. Quello “buono” è il cosiddetto economico, ossia una persona che si è mossa dal suo Paese di origine per migliorare le sue condizioni di vita, cercando un lavoro. Il termine viene spesso usato per distinguere chi si muove per migliorare le condizioni economiche da chi si sposta a causa di guerre, conflitti o persecuzioni. In realtà la differenza tra queste due categorie di persone non è sempre evidente, perché molti Paesi hanno condizioni di vita meno favorevoli a causa di guerre passate ma recenti o, al contrario, in altre nazioni ci sono conflitti interni (etnici, tribali, religiosi ecc.) non pienamente riconosciuti a livello internazionale.
Il Rapporto annuale 2024 sull’economia dell’immigrazione, presentato quest’anno dalla Fondazione Leone Moressa, si è concentrato sulle “conseguenze economiche della recessione demografica”. Di seguito, e per sommi capi, le evidenze: contributo demografico positivo, arricchimento del mercato del lavoro con il personale qualificato composto per il 29,2% da stranieri e con gli imprenditori immigrati in continuo aumento.
Dati che dovrebbero spingere a un’accoglienza diversa. Quantomeno, la stessa che verrà riservata ai ricercatori Usa se decidessero di accettare il nostro invito. Ai quali verrà sicuramente risparmiato il viaggio in Albania.