Ombre e nebbia, secondo molti, è l’ultimo grande film della stagione d’oro di Woody Allen: quella del perfetto equilibrio fra commedia e dramma, fra il suo inarrivabile umorismo e il suo rapporto di amore-odio con la società americana (specialmente quella dei rampanti anni Ottanta, volgari e superficiali). In una delle scene più poetiche del film, il timido Kleinman (interpretato dallo stesso Allen) passeggia con l’artista circense Irmy (Mia Farrow). Dice lei: “Vede quella stella lucentissima, lassù? Per quanto ne sappiamo, quella stella è sparita un milione di anni fa e la sua luce ha impiegato un milione di anni per raggiungerci”. E lui, incredulo: “Ma che sta dicendo? Che quella stella non è là?”. Certo, insiste lei: “Sì, può darsi che non ci sia”. La magia nasce dall’incontro fra la contemplazione delle stelle – attività romantica come poche altre – e quel poco di conoscenza astronomica che, lungi dal banalizzare il fenomeno, lo rende ancora più affascinante con il paradosso spazio-temporale. Oggi, nonostante un diffuso e preoccupante analfabetismo scientifico, il cittadino occidentale medio ha una cultura sufficiente per sapere che la luce delle stelle ci giunge con anni o secoli di ritardo a seconda della loro distanza (non milioni di anni, come dice Irmy: quelle così lontane appartengono ad altre galassie, invisibili a occhio nudo). Solo che, quando le osserviamo, raramente ci soffermiamo a pensare che quelle stelle potrebbero non esistere più: forse più dell’analfabetismo scientifico il nostro problema è l’analfabetismo poetico. Nel 2022 gli astronomi hanno scoperto una galassia, chiamata HD1, lontana più di 13 miliardi di anni luce. In pratica, l’hanno vista com’era 13 miliardi di anni fa. Chissà cosa sta succedendo laggiù, adesso: potremo saperlo fra 13 miliardi di anni, non prima. Fra le stelle visibili a occhio nudo, Alfa Centauri dista da noi 4,3 anni luce, Sirio 8, la Stella Polare 325: le loro luci ci arrivano contemporaneamente ma quei raggi sono partiti in momenti molto diversi. Un’eventuale civiltà di Alfa Centauri potremmo osservarla con poco più di 4 anni di ritardo e, viceversa, se loro in questo momento ci stessero scrutando, vedrebbero un’umanità inconsapevole di essere sull’orlo di una pandemia. La luce del Sole impiega circa 8 minuti per arrivare sulla Terra: nel momento in cui ammiriamo un pittoresco tramonto sul mare, la posizione reale del Sole è già sotto l’orizzonte. Una considerazione che sarebbe sicuramente piaciuta a Kleinman. Per rimanere in tema di romanticismo, la Luna si trova a poco più di un secondo-luce da noi: gli sguardi languidi degli innamorati la vedono quasi in tempo reale ma, a rigor di termini, sempre nel passato (anche se, a differenza delle stelle, si può essere ragionevolmente sicuri che esista ancora). Insomma, se da un lato abbiamo la grande opportunità di studiare i corpi celesti com’erano in passato, dall’altro abbiamo la limitazione di poterli vedere solo nel passato. In altre parole, non possiamo fare a meno di viaggiare nel tempo. Almeno con lo sguardo. Come ha scoperto Galileo nel Seicento, le leggi che regolano i movimenti perfetti degli astri sono le stesse che governano il nostro mondo caduco. E questo vale anche per i viaggi nel tempo. Se scorgiamo una nave all’orizzonte, non la vediamo nella sua posizione attuale ma dove si trovava 16 microsecondi fa. Guardando una partita di calcio dalle tribune dello stadio o gli occhi della persona amata tenendola per mano, è sempre il passato quello che vediamo. Quando la palla supera la linea di porta, vediamo il gol in leggerissima differita di 200 nanosecondi: in ritardo rispetto a quando lo vedono gli occhi esultanti del marcatore e quelli abbattuti del portiere. E se due innamorati si fissano negli occhi da vicino, ognuno vede l’altro com’era 300 picosecondi prima: impercettibilmente più giovane. Pensateci, la prossima volta che vi capita: questa è alfabetizzazione scientifica e poetica insieme!
Una risposta
Molto stimolante, grazie. Aggiungo alcune considerazioni vertiginose…
Un raggio di Sole impiega 8 minuti per raggiungere la Terra. La Terra ruota su se stessa ad una velocità di circa 1700 km/h pari a 0,47 km/sec, quindi al tramonto ci allontaniamo dal Sole a questa velocità. Si tratta comunque del valore meno rilevante, visto che la Terra, tutta quanta, ruota attorno al Sole in un anno solare tracciando un ellisse con un raggio, se si trattasse di una circonferenza approssimativamente di 150 milioni di km, e una velocità 60 volte superiore a quella di rotazione quindi mediamente paria a 29,8 km/sec.
Ed anche questo non è il movimento più consistente. La Terra, trascinata dal Sole, partecipa del moto dell’intero Sistema Solare intorno alla Galassia. Si stima che la velocità sia di circa 220 km/s.
Pertanto un uomo sulla Terra, quando sta fermo, è sottoposto a questi tre moti, che sommandosi vettorialmente possono fargli sfiorare anche i 250 km/s (Rimini Bologna in meno di mezzo secondo!)
Inoltre dovremmo aggiungere il moto della Galassia nell’Ammasso Locale ed infine il moto di recessione reciproco dell’Ammasso Locale rispetto agli altri, in un Universo considerato in espansione.
Com’è possibile che non avvertiamo nessuno di questi moti? La ragione è da ricercarsi nel principio d’inerzia: “un corpo non sottoposto a forze permane nel proprio stato di quiete o di moto rettilineo uniforme finché non interviene una forza esterna ad interromperlo”. La Terra, l’atmosfera e tutti gli elementi posti in superficie sono animati dallo stesso moto rettilineo uniforme. Prendendo a termine di paragone un qualunque oggetto fisso terrestre, essendo animato dello stesso moto della Terra, si muove come noi (se stiamo fermi), alla medesima velocità, nella medesima direzione. In quanto corpi fisici tutte le cose sono quindi sensibili alle accelerazioni, ma del tutto indifferenti alle velocità. Ci accorgiamo quando parte o si ferma un ascensore ma senza guardare fuori del finestrino non potremo dare neanche l’ordine di grandezza della velocità di un’auto sulla strada o dell’aereo nel quale voliamo.