La trappola dei sondaggi

Ci preoccupiamo per il rispetto dei tempi della loro diffusione e l’AGCOM corre ai ripari. Ma il vero rischio è che queste indagini diventino uno strumento di persuasione anche quando sono prive di base scientifica.

La fase più calda per chi produce e diffonde sondaggi elettorali cade proprio in questi giorni. La legge italiana, la più restrittiva in Europa, prevede cessi ogni tipo di diffusione di queste indagini da 15 giorni prima della scadenza elettorale. Le prossime consultazioni europee in Italia sono fissate per domenica 26 maggio, quindi l’11 maggio scatta la fase di black-out. Ma gli escamotage per aggirare questo divieto non mancano: lo scorso anno, a ridosso delle elezioni politiche di marzo, l’Autorità per la comunicazioni (Agcom), l’unica istituzione alla quale sono delegati i controlli su questo delicato settore anche se con poteri sanzionatori a dir poco irrisori, è stata chiamata in causa dalle denunce di alcuni economisti. Un’importante testata nazionale aveva pubblicato, dopo la scadenza dei 15 giorni, una combinazione di sondaggi già resi noti in precedenza, ma sui quali erano state tratte conclusioni nuove prive di un fondamento scientifico. Una pratica che comincia a essere diffusa.

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La maggiore preoccupazione dell’Agcom non è comunque legata alle arbitrarie rielaborazioni di vecchi sondaggi pubblicate a ridosso delle consultazioni. La sua attenzione è piuttosto puntata verso la proliferazione di nuovi soggetti che spesso diffondono online o su blog indagini prive di attendibilità. Per questo motivo, l’Autorità a metà marzo ha introdotto un giro di vite nelle disposizioni che è chiamata a emanare in occasione di consultazioni elettorali (come previsto dalla legge 28/2000 sulla par condicio).

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Da quest’anno sono previsti controlli sulla validità scientifica dei sondaggi, da realizzare attraverso una verifica su base campionaria della documentazione a supporto di queste misurazioni, imponendo contestualmente alle società di consentire la consultazione delle modalità di realizzazione, la conservazione di tutta la documentazione e di renderli nella sostanza replicabili.

Sinora chi conduceva sondaggi era tenuto soltanto a pubblicare una nota informativa e un documento in cui dovevano essere descritte le modalità con le quali era stata svolta l’indagine. Il personale e i finanziamenti per condurre controlli a tappeto non ci sono. Le armi sanzionatorie dell’Autorità, poi, sono spuntate: esiste l’obbligo di ripristino di un’informazione non corretta a carico degli editori e non di chi esegue i sondaggi. Il rischio, però, è che per spiegare che una misurazione è errata si finisca per divulgarla due volte. La stretta degli ultimi mesi vuole essere il segnale di un’attenzione più forte del regolatore in questa fase di volatilità elettorale, nella quale una parte importante degli elettori è fluttuante perché decide all’ultimo momento ed è più suscettibile di essere influenzata.

Targettizzati e consapevoli

È dalla rete che arrivano i maggiori rischi di condizionamento. Chiudere la stalla quando i buoi sono scappati serve a poco, ma i tentativi per correre ai ripari sono in atto da parte della Commissione europea e dei suoi terminali per vigilare nei singoli Stati, le Authority per le comunicazioni appunto. Non ci sono norme comunitarie o nazionali che possano imporre ai colossi della rete come Facebook, Google o Wikipedia di non pubblicare o di comunicare in un certo modo determinate informazioni. La strada scelta è quella di una forma di responsabilizzazione che passa attraverso la co-regolamentazione. Un codice di autodisciplina, ad esempio, è stato sottoscritto in sede europea nel settembre scorso da Google, Twitter, Facebook e Mozilla in materia di fake news. È l’obiettivo delle linee guida emanate dall’Agcom a inizio aprile: a partire dalle consultazioni di fine mese ogni messaggio elettorale dovrà indicare chi è il soggetto che lo sponsorizza; viene al contempo richiesta la costituzione di un archivio di questa tipologia di messaggi che sia consultabile e sottoposto a verifica. L’Autorità italiana è andata oltre, chiedendo alle piattaforme Usa di rendere consapevoli gli utenti della targettizzazione, cioè del fatto che i messaggi elettorali via web vengono profilati a seconda della categoria dei soggetti da raggiungere. L’obiettivo è rafforzarli nei loro convincimenti. A questa forma di trasparenza i colossi Usa hanno fatto resistenza: quello che si è ottenuto in Italia è stata la presenza nei messaggi di un’icona con una “i”, sulla quale cliccare per avere le informazioni sulla profilatura. È già qualcosa: la conoscenza dei dati degli utenti, la loro rielaborazione ai fini dell’invio di messaggi elettorali profilati è il principio sul quale si è fondata la manipolazione dei dati operata da Cambridge Analytica per sostenere la campagna elettorale di Donald Trump.

I sondaggi aggiustati

[/vc_column_text][vc_column_text]Torniamo ai sondaggi elettorali. Il tema del condizionamento resta centrale. La metodologia sulla quale sono nati e cresciuti i grandi istituti di indagine demoscopica è entrata in crisi da tempo. Non a caso tre anni fa, in occasione della corsa alla casa Bianca del 2016, colossi statunitensi come Gallup  e Pew si sono tirati fuori ammettendo l’impossibilità di fare rilevamenti corretti. Un limite che è ben presente anche a Nando Pagnoncelli, presidente di Ipsos, una delle principali società di sondaggi italiane. Nel suo saggio Le opinioni degli italiani non sono un’opinione, sostiene che i sondaggi rischiano di essere soprattutto uno strumento di persuasione e creano le opinioni che invece avrebbero dovuto soltanto misurare.

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L’ostacolo maggiore è dato dalla difficoltà di costruire un campione effettivamente rappresentativo, soprattutto dopo che la telefonia fissa è stata soppiantata da quella mobile e si è assistito alla diffusione di internet. A complicare le cose in Italia è subentrata la legge elettorale, il Rosatellum, con 232 collegi per la Camera e 116 per il Senato. Per avere campioni rappresentativi bisognerebbe intervistare almeno mille persone per collegio e poi tenere conto dei rifiuti e del fatto che il 40% degli intervistati in genere si dichiara astensionista (dunque bisognerebbe intervistarne almeno 1400). Ma pure fermandosi a mille persone per collegio, con un costo medio di 5 mila euro, per riuscire a coprire il Paese servirebbe un milione di euro. Troppo. I sondaggisti ricorrono così a vari stratagemmi: ad esempio, definiscono sicuri un numero elevato di collegi in base all’esito delle elezioni precedenti, per concentrare le interviste nei collegi meno sicuri. Poi c’è il fenomeno dell’aggiustamento del sondaggio, che tiene conto dei flussi di voto delle elezioni precedenti.

L’Agcom controlla ma è in scadenza di mandato

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Il risultato, alla fine, non può che essere aleatorio. Il 16 febbraio 2018, l’ultimo giorno utile per diffondere i sondaggi, il Corriere della Sera ha pubblicato un’indagine Ipsos in vista delle politiche: M5S era dato al 28,2%, la Lega al 13,2%, il Pd al 22,6% e Forza Italia al 16,3 per cento. Peccato che il risultato effettivo sia stato sensibilmente diverso: M5S al 32%, la Lega oltre il 17%, Forza Italia al 14% e il Pd al 19 per cento.

La legge istitutiva (247/97)  e quella sulla par condicio conferiscono all’Agcom il compito di fissare i criteri attuativi per la diffusione dei sondaggi e le modalità per realizzare le misurazioni. Questi aspetti sono stati definiti in un regolamento del 2011 che ormai ha dimostrato tutti i suoi limiti. L’attuale collegio dell’Autorità, presieduto da Angelo Cardani, vorrebbe modificarlo prima della scadenza del suo mandato, prevista per il prossimo luglio. Il giro di vite appena introdotto, con le verifiche a campione, costituisce solo un assaggio: l’Autorità si riserva la “facoltà di procedere a una verifica campionaria in merito all’effettiva esecuzione del sondaggio e alla corrispondenza dei parametri risultati dalla nota informativa pubblicata sul sito (…). A tal fine le imprese devono tenere copia delle avvenute modalità di contatto e di risposta degli intervistati nonché della metodologia e delle serie storiche utilizzate per consentirne la replicabilità”. Su suggerimento dell’Istat, si chiedono informazioni relative alla popolazione di riferimento, la lista sulla quale è stato selezionato il campione e il metodo di contatto delle unità campionarie, la rappresentatività  del campione inclusa l’indicazione del margine di errore e del livello di confidenza. Chi non rispetta le regole verrà messo in bella mostra sul sito dell’Autorità.

I controlli sui sondaggi e sulle modalità di condizionamento attraverso la rete sono una delle priorità del collegio dell’Autorità. Rivedere il regolamento richiederà una nuova consultazione, che potrebbe partire a giugno. Gli obiettivi potrebbero essere ambiziosi: arrivare a un censimento delle società di sondaggi e avviare controlli a tappeto sulle misurazioni. Molto comunque dipenderà dalla composizione del nuovo collegio.