Molti di noi, in tempi di pandemia, affidano le speranze di una futura ritrovata normalità allo sviluppo e alla conseguente diffusione di un vaccino efficace contro il Covid-19. Distanziamento sociale, mascherine, continui lavaggi delle mani – azioni e gesti che ormai ci accompagnano nella nostra quotidianità – ci appaiono come semplici forme di resistenza in attesa di quel momento, quando forse, in tempi difficili da prevedere, l’incubo finirà.
In base ai dati forniti dall’Oms, l’organizzazione mondiale della sanità, nel mondo si stanno sviluppando circa 180 vaccini contro il Covid-19. Vaccini diversi, che basano il proprio funzionamento su meccanismi differenti e che si possono suddividere in cinque gruppi.
1)Vaccini a dna-rna: usano frammenti di materiale genetico prodotto in laboratorio che codificano una parte del virus sarscov-2. Una volta assunto il vaccino, il corpo segue le istruzioni del dna-rna per creare copie di quella parte del virus (o antigene), riconoscerle e attivare la risposta immunitaria. Hanno il vantaggio di poter essere prodotti rapidamente perché si basano sul sequenziamento del dna e i costi di produzione sono limitati. I frammenti di dna-rna inoltre non causano il Covid-19. Purtroppo non sono mai stati usati negli esseri umani e pertanto l’approvazione potrebbe incontrare ostacoli normativi e, dato che riproducono solo una parte del virus, la reazione immunitaria potrebbe essere modesta, divenendo necessari alcuni richiami (inoltre in teoria il dna vaccinale potrebbe unirsi al nostro genoma)
2)Vettori virali: usano un altro virus, spesso indebolito e incapace di causare la malattia, per diffondere un antigene nel corpo. La capacità del virus d’innescare una forte risposta immunitaria li rende molto promettenti. Tra i virus impiegati come vettori ci sono il vaccinia virus (usato contro il vaiolo) e l’adenovirus del raffreddore. Garantiscono una diffusione altamente specifica di antigeni e un’unica somministrazione potrebbe essere sufficiente per una copertura a lungo termine. Purtroppo alcune persone potrebbero essere immuni al vettore virale (il corpo potrebbe attivare l’immunoreazione contro il vettore invece che contro l’antigene) e hanno costi elevati.
3)Vaccini inattivati: sfruttano la tecnologia del vaccino contro il poliovirus e di alcuni vaccini contro l’influenza. Contengono virus trattati con calore, sostanze chimiche o radiazioni in modo da attivare una risposta immunitaria senza replicarsi. Si basano su una tecnologia ormai considerata sicura e si possono somministrare anche a chi ha un sistema immunitario fragile. Hanno però una bassa immunogenicità e potrebbero richiedere alcuni richiami.
4)Vaccini vivi attenuati: usati contro il morbillo e la poliomielite, sono considerati molto efficaci. Contengono il virus indebolito in laboratorio che, pur essendo ancora vivo, non può causare la malattia. Garantiscono una forte copertura perché imitano il processo infettivo naturale e la produzione su vasta scala ha costi limitati (basta tra l’altro un’unica somministrazione). Tuttavia in rari casi possono causare la malattia e potrebbero risultare problematici per chi ha il sistema immunitario indebolito. Necessitano di refrigerazione e questo potrebbe limitarne la distribuzione.
5)Vaccini a subunità: non contengono componenti vive del virus, ma sono ricavati da antigeni che attivano l’immunoreazione. Si basano sulla stessa tecnologia usata contro l’epatite B. Non avendo componenti vive, sono considerati sicuri e si possono somministrare anche alle persone vulnerabili. Tuttavia gli antigeni, per stimolare la migliore risposta immunitaria, vanno studiati a fondo, con tempi lunghi, e la risposta immunitaria potrebbe essere insufficiente rendendo necessari alcuni richiami.
Insomma, principi e soluzioni diverse. Tra questi ci sarà quello vincente?