Un’ingegnera italiana alla NASA: c’è vita su Marte?

Una grande storia di riscatto sociale e di successi conquistati con le proprie forze: Dalia Raafat, ingegnere spezzina, ci mostra che anche chi parte da difficoltà apparenti insormontabili può realizzare sogni straordinari.

 

 

Dalia ha frequentato il liceo classico con ottimi voti in tutte le materie tranne matematica e fisica, in cui puntualmente aveva quattro. Anche l’inizio universitario non è stato semplice: dopo i primi due anni all’Università di Pisa ha fatto la rinuncia agli studi perché non si trovava bene e ha ricominciato da zero all’Università di Genova, dove si è laureata in ingegneria meccanica in triennale e in ingegneria meccatronica in magistrale, entrambe le volte con la votazione di 110 e lode.

Come lei stessa ha raccontato, nella rubrica ‘Finestra sul mondo‘, se il suo percorso non è stato del tutto lineare, il vero limite è stato dentro di sé, nel non credere abbastanza nelle sue capacità. Una volta superato quel blocco mentale è stato tutto in discesa e oggi lavora alla Nasa, un traguardo che fino a qualche anno fa sembrava irraggiungibile.

Nel 2023, grazie ad un messaggio su Instagram, l’Ing. Raafat è riuscita a catturare l’attenzione e a stabilire un contatto con una delle persone per cui nutre la più grande ammirazione, ovvero Michelle Easter, ingegnere meccatronico e cognizant engineer del gruppo di meccatronica alla NASA. Le ha chiesto se potesse fare la tesi di laurea magistrale con lei e dopo un’intervista di tre ore è riuscita nel suo intento e dopo solo cinque mesi le hanno offerto un contratto a tempo indeterminato e quindi adesso lavora da due anni alla NASA.

Il progetto a cui lavora è la missione Mars Sample Return che si prefigge di portare sulla Terra, per la prima volta nella storia dell’umanità, campioni provenienti da un altro pianeta, appunto Marte. Rafat si occupa in particolare del rover Perseverance per vedere quanto può sopravvivere oltre la missione per cui è stato progettato nel caso dovesse percorrere più chilometri, ovvero se gli attuatori dei freni possono sostenere un percorso più lungo rispetto a quello previsto.

È proprio il rover che sembra aver trovato un campione di una “potenziale impronta di vita microbica” e per cui il 10 settembre gli esperti della Nasa hanno indetto una conferenza stampa (mostrando comunque cautela perché serviranno ulteriori studi per accertare che il ritrovamento sia realmente frutto di processi biologici generati da forme di vita passata).

Perseverance non può rilevare direttamente la vita, ma raccoglie e conserva campioni, finora ha raccolto 30 campioni, di cui 25 già analizzati. Quando Perseverance fu lanciato nel 2020, la NASA prevedeva di riportare i campioni sulla Terra all’inizio degli anni 2030, ma la data è slittata agli anni 2040 per i costi elevati.

Tornando al lavoro dell’Ing. Rafat alla Nasa e in particolare riguardo alle differenze culturali e di genere, Dalia ha sottolineato che ci sono tantissime donne alla NASA, soprattutto nel suo team e questo ci fa decisamente ben sperare se solo pensiamo alle poche donne che c’erano insieme a Katherine Johnson durante il primo lancio sulla luna e a quanto ci ha raccontato l’Ing. Amalia Ercoli Finzi durante un’intervista che ci ha concesso e in cui ricordava che nei convegni troppe volte era l’unica donna e che le presentazioni degli speaker iniziavano con lady (al singolare) and gentlemen.

Il messaggio di Dalia Rafat si rivolge soprattutto ai giovani ed è quello di credere in sé stessi e di scrivere, contattare e non avere paura di chiedere perché ciò che è impossibile per gli altri non significa che sia impossibile per sé stessi. “Sono convinta che il duro lavoro, l’impegno, la passione e la dedizione possano vincere contro il talento naturale. Io ne sono la testimonianza, perché il duro lavoro, i sacrifici e anche un po’ di follia nel credere nell’impossibile mi hanno portata fin qui”.

Giovani donne che danno grandi speranze alla scienza mondiale del futuro, ma anche esempi di partecipazione e dedizione alla vita sociale perché scienza e società camminino sempre più una a fianco dell’altra.

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