Spazi di sopravvivenza intellettuale nella scuola italiana?

Nella pausa estiva (lunga, naturalmente… perché, come universalmente noto, gli insegnanti hanno tre mesi di vacanza!) capita spesso di tornare con la mente all’anno scolastico appena trascorso. Un pensiero vola a fine maggio. Ultimi giorni di lezione. L’anno scolastico si sta per concludere. La circolare sugli adempimenti finali compare, finalmente, sul registro elettronico: contiene undici allegati, sono i moduli da compilare prima degli scrutini. La precedente era un “richiamo urgente”, con tratti minacciosi, sulla valutazione degli alunni. È stato soltanto uno dei (tanti) momenti dell’anno in cui i docenti si sono scontrati con una burocrazia asfissiante, che attanaglia la scuola italiana e che demotiva molti di noi.

Chi vive il mondo della scuola conosce bene le difficoltà e i problemi; basterebbe leggere il volumetto Il disagio dell’inciviltà di Fabio Bentivoglio, pubblicato nel lontano 2000. Il professore di filosofia denunciava le conseguenze della riforma del momento, promossa dall’allora ministro dell’Istruzione, Luigi Berlinguer: superficialità, burocrazia e mercato. Dopo venticinque anni, le cose sono solo peggiorate; lo percepiscono i più “attempati” che hanno vissuto questo processo e i giovani più attenti, che provano disagio, magari senza capirne completamente le ragioni.

Forse il problema più grave è il paradigma di scuola che si è sviluppato in questi anni: un modello in qualche modo asservito a logiche mercantili. La formazione, l’istruzione è funzionale al lavoro: gli istituti professionali “devono” assecondare le richieste delle aziende, i licei puntano sulla “performance” per preparare o “addestrare” i funzionari di domani.

Di fronte a tutto questo ci sono modi diversi di reagire: alcuni di noi si adeguano, accettando il sistema; altri soccombono non trovando risorse per contrastare il modello; infine, c’è chi si oppone cercando “spazi di sopravvivenza”.

Presso un istituto professionale alberghiero di Torino, è però avvenuto un piccolo miracolo: nonostante le molte difficoltà e un contesto complesso, un gruppo di docenti è riuscito a dimostrare che un’altra scuola è possibile. Prima di tutto con il progetto “Scholè”.

Il termine greco – σχολή – da cui deriva il nostro “scuola” significa ozio, riposo, tempo dedicato allo studio e alla ricerca. È qualcosa legato alla gratuità, al piacere della scoperta, alla conoscenza che dà gusto alla vita, che la rende più ricca, senza un fine utile. Invece per gli studenti il termine “scuola” è spesso abbinato a impegno, studio, verifiche, interrogazioni, mentre per i docenti ad adempimenti burocratici, riunioni, a compiti da correggere. In ogni caso la parola oggi rimanda alla fatica.

Per tornare all’accezione originale del termine, si è pensato a un’iniziativa di formazione autogestita dai docenti con temi storico-culturali di ampio respiro; nel corso dell’anno scolastico appena concluso (2024/25) si sono svolti cinque incontri rivolti ai docenti dell’Istituto, ad ex-colleghi ora in pensione o in servizio in altre sedi, a studenti particolarmente curiosi e ad amici esterni. Il primo incontro (27 novembre) ha affrontato la situazione di matematici italiani di fronte alle leggi razziali; nel secondo (16 gennaio) è stata proposta una lezione-concerto, con musica dal vivo, sul repertorio per fagotto da G.P. Telemann (1681-1767) al Novecento; nella conferenza del 25 febbraio due colleghi hanno portato alla luce particolari curiosi e importanti di Camillo Benso, conte di Cavour, attraverso una lettura originale di alcune sue lettere, da loro ritrovate in archivio; il 3 aprile, in preparazione alla festa della Liberazione, due gruppi musicali locali (“Accordo Musicale” e “Fuori dal Coro”) hanno presentato il repertorio canoro della Resistenza, ancora con una lezione-concerto dal titolo provocatorio “Di tutti (o quasi) gli italiani ovvero quelli del 25 aprile”; infine, nell’ultimo incontro (14 maggio) è stato fatto un salto nel mondo antico, con una relazione sul ruolo del cuoco sacrificatore nell’Antica Grecia.

Si è respirata l’aria fresca di una conoscenza condivisa e arricchente. C’era in tutti i partecipanti la consapevolezza di incontrarsi per un momento di sosta, riposo e libero dalla fatica. Senza scartoffie da riempire, senza Google Moduli da compilare per prenotarsi, senza fogli firme a “testimoniare” la propria presenza.

L’esperienza vissuta può quindi aiutare i docenti – ma non solo – a pensare a un’altra idea di scuola: si avverte la necessità di una modalità di conoscenza gratuita, non strategica, non direttamente finalizzata a un risultato. Citando parte del titolo di uno degli incontri, si sente il bisogno di uno “spazio di sopravvivenza intellettuale”. Il filosofo russo Pavel Florenskij (1882-1937) scriveva: “La conoscenza non è impossessarsi di un oggetto da parte di un soggetto predace, ma una viva comunione di persone”. Gli incontri di Scholè sono la dimostrazione che si può immaginare un altro paradigma: viva comunione di persone che crescono nella conoscenza.

Il miracolo è stato possibile anche grazie a un’altra iniziativa – meglio nota all’interno dell’Istituto come “Gruppo Benessere” – nata con lo scopo di trascorrere del tempo “di qualità” insieme a colleghi e amici, al di fuori delle mura scolastiche, per “ricaricare” corpo e mente. In che cosa consiste? Da circa tre anni, alcuni docenti organizzano due volte all’anno delle gite fuori porta dell’intera giornata, per godere delle attrattive e delle specialità culinarie del territorio e per riscoprire la bellezza dello stare insieme, del far parte di una comunità (educante, ma non solo!).

Tutti i docenti e il personale dell’istituto, insieme ad eventuali amici e parenti, possono iscriversi liberamente alle uscite, appositamente pensate in modo che siano fruibili da tutti (itinerari a piedi non eccessivamente impegnativi, località facilmente raggiungibili da Torino, …) e a costi contenuti (i docenti italiani non navigano nell’oro, si sa!).

In molti hanno colto l’occasione di passare una giornata diversa dal solito, con quei colleghi che spesso si incrociano solo velocemente nei corridoi o con cui si prende giusto un caffè al volo. L’incanto dell’ambiente alpino ha fatto da cornice alle gite al Rifugio Amprimo, nel Parco dell’Orsiera, e al Rifugio Troncea, poco sopra Pragelato. In entrambe le occasioni, le “fatiche” della camminata sono state ripagate da un’ottima polenta di montagna! La Rocca di Cavour, con il suo incomparabile panorama a 360°, dalle Alpi Marittime alle Pennine, la sua panchina gigante e le fila dei vigneti, ha rappresentato la meta di una gita autunnale, conclusa con un ottimo pranzo in agriturismo. L’ultima gita, la scorsa primavera, si è sviluppata lungo le sponde dei due laghi di Avigliana: anche questa volta non poteva mancare un piacevole pranzo all’aperto, al sole e in ottima compagnia.

Questi momenti di condivisione e di convivialità hanno favorito un senso di appartenenza che ben va oltre il lavoro in senso stretto. Trascorrere del tempo insieme, al di fuori della scuola, ha consentito di scoprire lati “inediti” dei colleghi, di confrontarsi e di dialogare su temi lontani da quelli di cui siamo abituati a parlare durante i vari collegi docenti o consigli di classe. Camminare su un sentiero per poi mangiare tutti insieme a tavola è servito a ricordarci che le salite, così come le fatiche di tutti i giorni a scuola, sono più “leggere” se affrontate insieme. Fermarsi a contemplare i panorami e le meraviglie della natura, con la mente libera da pensieri e incombenze, dona una nuova, potente attualità alle parole del giornalista e scrittore Tiziano Terzani (1938-2004) sulla gratuità: “Questo è un altro aspetto rasserenante della natura: la sua immensa bellezza è lì per tutti. Nessuno può pensare di portarsi a casa un’alba o un tramonto”.

Ecco, questo riporta al cuore stesso di ciò che dovrebbe essere l’insegnamento. Così come la natura offre la sua bellezza senza chiedere nulla in cambio, la scuola dovrebbe essere un luogo di gratuità: un ambiente in cui la conoscenza non è una merce da consumare o uno strumento con un secondo fine, ma un orizzonte da condividere. Lo scopo ultimo non è plasmare il futuro lavoratore o il consumatore, ma coltivare l’individuo come essere pensante, critico e parte attiva di una comunità, capace di meravigliarsi e di cogliere il valore delle cose al di là della loro immediata utilità. Si tratta di una visione che conferisce alla scuola una responsabilità enorme, ma anche un potere immenso. Un potere che, come affermava Nelson Mandela (1918-2013), è in grado di fare la differenza: “L’educazione è l’arma più potente che si possa usare per cambiare il mondo”.

Iniziative come Scholè o le gite fuori porta del Gruppo Benessere testimoniano che, nonostante tutto, la scuola oggi può (e – crediamo – deve) essere in primis un luogo di incontro e di condivisione. Il mestiere del docente è strettamente connesso, prima di tante altre cose, al concetto di relazione: con il sapere, con gli studenti e le loro famiglie, con i colleghi e tutto il personale scolastico.

Il grande Albert Einstein (1879-1955) sosteneva che “ogni incontro con un amico è come una scoperta scientifica, una rivelazione che ti lascia senza parole… e con un sorriso”. Proprio all’amico e collega Marco Dibenedetto, docente di sala e vendita ma anche giallista, prematuramente scomparso la scorsa estate, è stato dedicato il ciclo di conferenze di Scholè. È, questo uno dei motivi più belli e importanti del progetto: per ricordare Marco con affetto, all’inizio di ogni incontro, è stato letto l’incipit di alcuni dei suoi romanzi (Il cacciatore di vite, 2008; Che idiota!, 2012; Il mare odia gli spigoli, 2014; I dubbi di Rubatto, 2016; Regio Crimen, 2025). Anche lui, scrittore e uomo di cultura, con i suoi scritti ha partecipato agli incontri di Scholè.

Questi gesti, nati dal ricordo, dimostrano come la semplice condivisione di una passione o di un sapere diventi il più efficace antidoto alla solitudine e all’indifferenza che a volte si respirano a scuola. È questo il più grande messaggio di speranza per l’anno scolastico che sta per iniziare: non servono grandi rivoluzioni, ma la forza gentile di questi momenti per alimentare un senso di comunità e di appartenenza, contribuendo con poco a costruire, insieme, una scuola migliore, una viva comunione di persone che crescono nella conoscenza.

Una risposta

  1. Un articolo molto interessante che descrive una visione (ma evidentemente non un’utopia!) di scuola davvero gratuita, lontana dalle logiche di produttività e performance tipiche delle aziende, ma volta alla cura dell’uomo (l’amicizia!) e al piacere della cultura condivisa.
    Bellissima ed efficace l’immagine ossimorica della “forza gentile”:
    la faccio un po’ mia e la chiedo in prestito per portarla nel mio mondo e nella mia vita.
    Grazie
    Elena,
    mamma di tre studentesse (liceo-medie ed elementari) e pediatra di libera scelta.

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