La signora degli abissi

“Una rivoluzione sta arrivando ed è quella dell’Internet delle cose sottomarino”. Chiara Petrioli – docente di computer science all’università La Sapienza di Roma – va dritta al punto della questione. Del resto, la sua società deep-tech WSense, nata nel 2017 come spinoff della Sapienza, è un’eccellenza internazionale nella frontiera dell’Internet of Underwater Things (IoUT), l’internet sottomarino, per i sistemi di monitoraggio e comunicazione subacquei. È stata individuata come azienda più innovativa al mondo nella raccolta e gestione dei big data dal World Economic Forum. Chiara Petrioli, appassionata anche di matematica, a dicembre scorso è stata nominata fra i dieci nuovi esperti internazionali che entrano a far parte del board EIC, l’organo che supporta a livello europeo l’innovazione di punta e il trasferimento tecnologico e sviluppa e potenzia tecnologie innovative dalla portata rivoluzionaria.

Che ruolo ha avuto per lei la matematica, prima nella formazione e poi nell’attività imprenditoriale?
Un ruolo essenziale nella mia vita. Sono stati proprio i problemi di matematica che mio padre mi poneva tra gli 8 e i 10 anni, quando facevamo lunghi viaggi in auto verso la Toscana, che prima mi hanno appassionato e poi portato a vedere il problem solving come un lavoro veramente molto gratificante. Fino a indirizzarmi verso interessi in ambito scientifico e a portarmi ad acquisire una formazione nell’ambito STEM con una laurea in informatica. Considero la matematica e l’informatica strumenti per affrontare e tentare di risolvere alcune delle grandi questioni che riguardano la nostra epoca, dai cambiamenti climatici al monitoraggio e alla difesa degli oceani.

Si considera una mosca bianca nel conciliare l’attività accademica con quella imprenditoriale?
Dipende da quale parte del mondo si guarda. Da cittadina del mondo non mi considero un’eccezione. Dopo la laurea ho studiato negli Stati Uniti dove sono stata contagiata dal desiderio di costruire innovazione. Il mondo americano spinge molto, anche i giovanissimi, a pensare out of the box, a cercare soluzioni anche attraverso strade diverse. Questo approccio mi ha molto motivato in tutta la mia vita e, quando mi sono ritrovata con qualcosa che poteva avere un impatto sulla realtà, non ci ho pensato un attimo a portarlo sul mercato.

Potrebbe essere questo approccio un modo per avvicinare i giovani alle materie scientifiche?
Sì, certo. Occorre far capire che le materie scientifiche danno gli strumenti per imparare ad affrontare i problemi, a proporre innovazione in un settore – quello delle scienze dell’ingegneria – che poi ti permette veramente di affrontare e capire il mondo attorno a te. Quindi, quello che erroneamente nella nostra cultura viene percepito come arido non lo è per niente. È un problema culturale: bisogna trasmettere questa piena consapevolezza nei giovani. L’essere scienziato o ingegnere può essere estremamente creativo. Del resto, le attività scientifiche trovano sempre più applicazioni in numerose discipline. Ad esempio io, che sono un’appassionata di storia dell’arte, ho potuto applicare tecnologie di monitoraggio alle opere d’arte in fase di trasporto, sono stata nei laboratori di restauro di tutto il mondo, ho sviluppato sistemi di monitoraggio e di sorveglianza per la valorizzazione dei beni culturali subacquei. Lavoro con biologi marini o oceanografi. In realtà, è normale lavorare in team multidisciplinari ed è un qualcosa di estremamente creativo e entusiasmante. Semplicemente dobbiamo saperlo comunicare in maniera migliore in questo Paese.

Mi dà una definizione dell’internet sottomarino o l’Internet of Underwater Things?
Più di dieci anni fa, ci siamo resi conto che le tecnologie che hanno cambiato il mondo negli ultimi 30 anni non riescono a penetrare nell’ambiente marino. Il mondo sotto il mare, che copre il 70% del nostro pianeta, è largamente sconosciuto: non possiamo scambiare i dati, non possiamo conoscerlo perché è precluso all’uomo. Effettivamente è difficile avere sistemi di monitoraggio e comunicazione per questi ambienti. Quella da noi sviluppata è una tecnologia che permette il dialogo diretto tra sensori e robot subacquei che operano in acqua. Lavoriamo sul fronte dell’offerta di tecnologia abilitante per tutto ciò che si può fare in mare, a iniziare dalle attività di monitoraggio e controllo. Le nostre reti wireless subacquee consentono ai clienti di estrarre dati in tempo reale e perseguire nuovi modelli di business.

Avete competitor nel panorama internazionale?
Non con le nostre stesse caratteristiche, anche se ci sono aziende internazionali che stanno cominciando a seguirci. Per una volta siamo trainanti: siamo noi che dall’Italia, con la nostra creatività e un team di giovani di talento eccezionale, abbiamo pensato e realizzato questo tipo di tecnologia di cui deteniamo i brevetti internazionali. Sull’Internet sottomarino siamo avanti a tutti.

Mentre lei parla, penso a quanto una tecnologia del genere possa essere utile in diversi contesti. Penso, ad esempio, a quello che sta accadendo nel Mar Rosso…
Assolutamente. La protezione e il monitoraggio dell’ambiente sottomarino e la protezione delle infrastrutture critiche sono applicazioni di questo tipo di tecnologie. Quello che sta succedendo nell’ultimo anno e mezzo ha messo in evidenza il tantissimo che già c’era sott’acqua in termini di asset strategici. Pensiamo al North Stream e quindi alle pipeline, all’energia generata da impianti di estrazione e di trasferimento di petrolio e gas che si trovano sott’acqua, dove si trova la stessa dorsale di Internet. Il mondo sottomarino ha infrastrutture critiche essenziali per noi e fornisce le risorse per il nostro futuro. Per questo, dovremmo sfruttarlo in maniera sostenibile, facendo un miglior uso di risorse. Negli oceani vive il 50% delle specie viventi e i mari hanno un ruolo essenziale per l’assorbimento della CO2 presente in atmosfera.

Dati impressionanti, eppure se ne parla sempre al futuro. Come se non ci riguardassero nell’immediato. Perché?
Penso che sia uno stereotipo che deriva dal fatto che questi ambienti sono per noi ad oggi ancora sconosciuti e sono degli ambienti in cui non viviamo. La blue economy non è una economia di nicchia (è l’ottava del mondo) e sta crescendo a un passo veramente molto veloce tanto che, a mio parere, ci potremmo anche costruire un pezzo del nostro futuro.

Quali sono i settori industriali che si rivolgono a voi?
In questo momento stiamo lavorando principalmente in tre settori: quello della protezione delle infrastrutture critiche, nel monitoraggio ambientale e in quello strutturale nell’ambito delle costruzioni costiere e quindi del permitting.

C’è un progetto di cui va particolarmente fiera?
Mi appassiona molto il progetto che stiamo portando avanti con il Ministero dei Beni culturali per il monitoraggio e la valorizzazione dei siti archeologici sommersi. Così come quello che stiamo conducendo nell’ambito delle interazioni con gruppi legati al World Economic Forum. Me ne piace molto anche uno che abbiamo appena vinto con ISPRA per andare a monitorare le coste toscane. In generale, vado fiera di tutto quello che può portare veramente a best practice per il monitoraggio ambientale e la protezione degli oceani.

Perché così poche donne nei settori chiave dell’innovazione?
Credo sia un problema di comunicazione. Anche a me, da bambina, a parte i giochi matematici in auto con mio padre, si faceva passare il messaggio che il mondo delle scienze, in particolare quello delle scienze dure, fosse arido. La stessa informatica, del resto, non è un mondo che affascina le donne. Questo perché la matematica e l’informatica vengono viste come il fine ultimo di un’attività e non come un mezzo per affrontare dei problemi e dare delle soluzioni che si possono sviluppare con l’innovazione e la creatività. Vista da questa prospettiva, la ricerca diventa estremamente appassionante. Nel momento in cui si capisce che con questi strumenti si dà il via libera alla creatività personale, potendo affrontare temi multidisciplinari, allora queste discipline diventeranno appassionanti anche per le donne.

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