Capire il mondo: Quanto è davvero pericoloso l’arsenale atomico dell’Iran?

Il programma nucleare iraniano affonda le sue radici negli anni ’50, durante il regno dello Scià Mohammad Reza Pahlavi. Nel 1957, l’Iran firmò un accordo di cooperazione nucleare con gli Stati Uniti nell’ambito del programma “Atoms for Peace” dell’amministrazione Eisenhower. Questo segnò l’inizio ufficiale dell’interesse iraniano per la tecnologia nucleare, inizialmente con finalità esclusivamente civili.

Nel 1967 fu costruito il primo reattore di ricerca a Teheran, fornito dagli Stati Uniti, con una potenza di 5 megawatt termici. L’Iran aderì al Trattato di Non Proliferazione Nucleare (TNP) nel 1968 e lo ratificò nel 1970, impegnandosi formalmente a non sviluppare armi nucleari e ad accettare le ispezioni dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA).

Durante gli anni ’70, con i proventi del petrolio, lo Scià avviò un ambizioso programma di sviluppo nucleare civile. Nel 1974 fu creata l’Organizzazione per l’Energia Atomica dell’Iran (AEOI) e furono firmati contratti con diverse aziende occidentali per la costruzione di centrali nucleari. Il progetto più significativo fu quello di Bushehr, avviato nel 1975 in collaborazione con la Germania Occidentale attraverso la Kraftwerk Union. L’obiettivo dichiarato era quello di diversificare le fonti energetiche del paese e preservare le riserve petrolifere per l’esportazione. Il programma prevedeva la costruzione di 23 reattori nucleari entro il 2000, con una capacità totale di 23.000 megawatt.

La Rivoluzione Islamica del 1979 segnò una drastica interruzione del programma nucleare. L’Ayatollah Khomeini inizialmente si oppose all’energia nucleare, considerandola “opera del diavolo” e incompatibile con i principi islamici. Tutti i contratti occidentali furono cancellati e i progetti sospesi. La guerra Iran-Iraq (1980-1988) contribuì ulteriormente al rallentamento, con il bombardamento della centrale di Bushehr da parte dell’aviazione irachena.

Verso la fine degli anni ’80, l’Iran iniziò a riconsiderare la tecnologia nucleare. La leadership iraniana comprese l’importanza strategica dell’autosufficienza energetica e tecnologica. Nel 1995, l’Iran firmò un accordo con la Russia per completare la centrale di Bushehr, dopo che i partner occidentali si erano ritirati definitivamente. Parallelamente, l’Iran iniziò a sviluppare capacità indigene nel settore nucleare, acquistando tecnologie e know-how da varie fonti, inclusa la rete clandestina del fisico pakistano Abdul Qadeer Khan. Furono costruite strutture per l’arricchimento dell’uranio a Natanz e un reattore ad acqua pesante ad Arak.

Il punto di svolta verso potenziali applicazioni militari può essere collocato intorno alla fine degli anni ’90 e l’inizio degli anni 2000. Diversi fattori contribuirono a questa evoluzione: la percezione di minacce alla sicurezza nazionale, particolarmente dopo la guerra del Golfo del 1991 e l’invasione americana dell’Afghanistan (2001) e dell’Iraq (2003), che portarono forze statunitensi ai confini iraniani. L’Iran si trovò circondato da basi militari americane e da paesi dotati di armi nucleari (Pakistan, India, Israele). L’acquisizione di tecnologie sensibili attraverso il mercato nero nucleare permise all’Iran di sviluppare capacità avanzate di arricchimento dell’uranio e di lavorazione del plutonio, tecnologie che possono avere applicazioni sia civili che militari.

Nel 2002, l’opposizione iraniana rivelò l’esistenza di strutture nucleari segrete a Natanz e Arak, non dichiarate all’AIEA. Questo segnò l’inizio di una crisi internazionale che dura tuttora. Le ispezioni dell’AIEA rivelarono violazioni degli accordi di salvaguardia e attività nucleari non dichiarate risalenti agli anni ’80.

Il programma di arricchimento dell’uranio divenne il fulcro delle preoccupazioni internazionali. L’Iran sosteneva di voler produrre combustibile per reattori civili, ma la comunità internazionale temeva che le stesse tecnologie potessero essere utilizzate per produrre uranio altamente arricchito per armi nucleari. La scoperta delle attività segrete portò all’imposizione di multiple sanzioni internazionali a partire dal 2006. Le sanzioni del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, dell’Unione Europea e degli Stati Uniti colpirono duramente l’economia iraniana, isolando il paese dal sistema finanziario internazionale.

Nel 2015, dopo anni di negoziati, fu firmato il Piano d’Azione Globale Congiunto (JCPOA), noto come accordo nucleare iraniano. L’accordo limitava significativamente il programma nucleare iraniano in cambio della rimozione delle sanzioni. Tuttavia, nel 2018, l’amministrazione Trump si ritirò unilateralmente dall’accordo, reimponendo le sanzioni.

Oggi, il programma nucleare iraniano si trova in una fase critica. Dopo il ritiro americano dal JCPOA, l’Iran ha gradualmente ridotto i suoi impegni nell’accordo, aumentando le scorte di uranio arricchito e il livello di arricchimento fino al 60%, ben oltre il 3,67% previsto dall’accordo e molto vicino al 90% necessario per uso militare. Secondo le stime degli esperti, l’Iran potrebbe avere materiale fissile sufficiente per una bomba nucleare entro poche settimane, se decidesse di procedere. Tuttavia, sviluppare un’arma nucleare funzionante richiederebbe ancora tempo considerevole per la progettazione, i test e la miniaturizzazione.

L’Iran mantiene ufficialmente che il suo programma nucleare è esclusivamente pacifico e che le armi nucleari sono contrarie ai principi islamici. Tuttavia, l’opacità del programma e le continue violazioni degli accordi internazionali alimentano i sospetti sulla vera natura delle intenzioni iraniane.

La questione rimane uno dei dossier più complessi della sicurezza internazionale, con implicazioni che si estendono ben oltre i confini regionali, influenzando gli equilibri geopolitici globali e il regime di non proliferazione nucleare.

 

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