Un ponte tra le mani e il cervello

Imparare la matematica significa, fra le altre cose, acquisire alcuni concetti astratti e farli propri al punto da saperli riconoscere ed eventualmente utilizzare in situazioni concrete. La conquista dell’astrazione è un processo lungo e complicato, che non avviene una volta per tutte, ma con un continuo avanti e indietro. Quello che è più prezioso per il consolidamento di ciò che si è appreso non sono tanto le “regole del gioco” di come ci si muove sul piano astratto, ma sono soprattutto i legami, i collegamenti, i “ponti” fra astratto e concreto. Cioè la capacità di modellizzare (estrarre un modello astratto da un esempio concreto) e di esemplificare (individuare una o più situazioni concrete in cui si possa “leggere” un concetto astratto). Abbiamo bisogno quindi di tanta concretezza (anche a scuola e non soltanto alla scuola primaria) ma insieme abbiamo pure bisogno di imparare a staccarci dalla concretezza. Usare le mani non è certo l’unica maniera per avere a che fare con la concretezza ma è sicuramente una maniera molto efficace e soprattutto molto coinvolgente non soltanto per i bambini: la soddisfazione del “l’ho fatto io, con le mie mani!” è qualcosa che, pur declinato in maniere diverse, si incontra a tutte le età. Ma c’è di più: proprio la soddisfazione di quello che si è fatto “con le proprie mani” può in maniera naturale far venir voglia, spontaneamente, di raccontare ad altri come lo si è fatto. Si finisce così addirittura per affrontare, per propria scelta e volontà, quelle richieste di motivazione, di giustificazione delle proprie affermazioni che invece, quando arrivano dagli insegnanti, magari applicate a un ragionamento astratto sia pure elementare (perché la somma di due numeri dispari è un numero pari?), risultano spesso ostiche per i ragazzi perché non ne vedono il senso. La fase di verbalizzazione può allora diventare un tassello fondamentale nel passaggio dal concreto all’astratto, dall’esperienza fatta di osservazione e manipolazione al ragionamento tout court. Raccontare e spiegare agli altri qualcosa che si è fatto concretamente e come lo si è fatto (ma spiegarlo per bene, in modo che lo capiscano per davvero e che siano eventualmente poi in grado di rifarlo) non è la stessa cosa di un ragionamento astratto ma è un bel passo in avanti in quella direzione. Un esempio può essere utile. Mosca cieca è il nome che si è utilizzato per un laboratorio-gioco proposto a classi scolastiche di livelli diversi: due coppie di ragazzi siedono ai due lati di un tavolo dotato di un divisorio a metà, in modo che la prima coppia non possa vedere la parte di tavolo davanti alla quale è seduta la seconda e viceversa. A ciascuna coppia viene dato un oggetto oppure un disegno (la scelta dell’oggetto o del disegno sarà naturalmente calibrata a seconda della classe, di scuola primaria o secondaria, di primo o secondo grado). Per esempio, si può partire da un poliedro costruito con tessere poligonali che si possano agganciare (come quelle nella foto) e insieme al poliedro i ragazzi avranno a disposizione anche il materiale per ricostruirlo. Ciascuna coppia deve descrivere (per iscritto) l’oggetto che ha in mano in maniera tale che chi legge le loro indicazioni sia in grado di ricostruirlo. Poi, le due coppie si scambiano questo testo e ciascuna prova a realizzare l’oggetto dell’altra coppia. Infine, si toglie il divisorio per constatare se gli oggetti ricostruiti a partire dalle indicazioni scritte sono effettivamente uguali ai loro rispettivi originali. Se – come spesso accade – l’oggetto ricostruito non è identico all’originale (e magari, a volte, nemmeno gli somiglia…), allora siamo in uno di quei casi fortunati in cui gli errori costituiscono proprio un’occasione preziosa! Infatti, i ragazzi sono i primi a voler capire se ha sbagliato la prima coppia a dare male le indicazioni o la seconda nell’interpretarle. Per scoprirlo, occorre fare un lavoro linguistico “fine” sui testi scritti che si sono scambiati. Si tratta, a ben vedere, dello stesso lavoro che può essere utile fare di fronte a una definizione formale astratta, ma in quel caso l’insistenza sul fatto che modificare o spostare una parola soltanto (o addirittura una virgola) può stravolgere completamente il senso della definizione appare solo come una pedanteria del docente. Qui invece i ragazzi hanno visto che questo può proprio succedere e il loro coinvolgimento per decidere chi ha ragione può… farli diventare ben più pedanti dei loro insegnanti!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Dimensione massima del file: 50MB Formati consentiti: jpg, gif, png Drop file here