Tra le tante regole che contraddistinguono la professione giornalistica una ci sta particolarmente a cuore, ossia quella di non parlare mai di noi. Il giornalista e la testata per la quale lavora non dovrebbero mai fare notizia, bensì raccontarla. Oggi, se permettete, facciamo un piccolo strappo a questa regola. Siamo il primo giornale nella storia del giornalismo italiano a ospitare un articolo certificato con la tecnologia blockchain. Al di là dell’orgoglio per questo risultato, dal punto di vista pratico del lettore, ma anche dell’autore, significa che nessuna parte del testo potrà mai essere modificata, alterata, copiata e incollata da nessun’altra parte o attribuita ad autore diverso dall’originale. E, in tempi come questi, non è cosa da poco.
Nelle settimane scorse un panel di 35 ricercatori di 10 Paesi diversi ha pubblicato sulla rivista Nature, per la prima volta, una definizione di “riviste predatorie”. Con questo termine, si intendono quelle testate che “antepongono i loro interessi economici alla diffusione della ricerca scientifica riportando informazioni false o ingannevoli e si rivolgono (soprattutto via e-mail) ai ricercatori in modo aggressivo e indiscriminato per spingerli a inviare i propri articoli”. Secondo le stime degli studiosi, ogni anno circa 400.000 articoli appaiono su riviste che millantano standard accademici ma che invece pubblicano qualsiasi cosa, purché a pagamento.
Facebook, forse il social network che maggiormente in passato ha contribuito suo malgrado alla diffusione delle fake news, ha deciso di mettere al bando i deepfake, cioè i video creati con una tecnica che sfrutta l’intelligenza artificiale per sovrapporre due volti in un video creando uno scambio di identità e consentendo, ad esempio, di far dire a un politico frasi che non ha mai pronunciato. L’annuncio arriva in un momento in cui i social network sono messi sotto pressione e chiamati a ripulire le proprie piattaforme da fake news e da contenuti ingannevoli in vista delle elezioni presidenziali americane di fine 2020.
La giornalista Carola Frediani, esperta di cybersecurity, nella sua newsletter Guerra di Rete ha riportato un’inchiesta di Buzzfeed, la testata online nota ai più per aver rivelato i contenuti audio di una trattativa tra Mosca e Salvini. Ebbene, secondo Buzzfeed “se la disinformazione nel 2016 era caratterizzata da spammer macedoni che spingevano fake news pro-Trump e troll russi che imperversavano sulle piattaforme, il 2020 si sta configurando come l’anno in cui società di comunicazione metteranno sul mercato sofisticate operazioni di propaganda online per chiunque sia disposto a pagare”. Per diffondere falsità, quindi, basterà pagare le cosiddette black Pr e il gioco sarà fatto. Con buona pace della verità.
Buona lettura!
Vincenzo Mulè – Direttore responsabile