Il “navigatore” dei magi

Cometa, congiunzione planetaria, supernova: queste le ipotesi astronomiche che potrebbero corrispondere alla stella che nel Vangelo di Matteo indica la strada verso la grotta della natività. E il 25 dicembre, festa del Sol Invictus, diviene il giorno del Natale

La mettiamo in cima all’albero di Natale e sul tetto della capanna del presepe. È la stella cometa, un simbolo del Natale cristiano perché è la luce che, secondo il Vangelo di Matteo, ha indicato ai Magi la direzione per Betlemme: “Ecco: la stella, che avevano visto nel suo sorgere, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino”. Un racconto affascinante che nasconde forse una verità scientifica che molti hanno cercato di trovare.

Anzitutto, l’astronomia ci ricorda che il termine “stella cometa” è un non-senso: una stella produce energia e brilla di luce propria mentre una cometa è un conglomerato di ghiaccio, silicati e polvere (con pure qualche preziosa molecola organica) che, per azione della radiazione solare, si illumina e si disperde in una lunga coda. Insomma, niente più che a dirty snowball (una palla di neve sporca) secondo la pungente definizione del “cometologo” americano Fred Whipple.

La presenza nel cielo notturno di un fenomeno luminoso persistente e visibile a occhio nudo è un evento astronomico possibile per cause diverse. Deve però conciliarsi con quanto descritto da Matteo e collocarsi negli anni di nascita di Gesù, riguardo alla quale i Vangeli dicono solo che precedette la morte del Re Erode (dal 4 all’1 a.C.) per cui, incrociando indirette testimonianze storiche e calendariali, c’è concordanza sul periodo: dal 7 al 5 a.C.

La cometa di Halley
La cometa di Halley

Il fascino della cometa

Secondo la tradizione, è stata una cometa il “navigatore” ante litteram per i Magi diretti a Betlemme. Subito si pensa alla cometa più volte avvistata nel corso dei secoli, ma solo nel 1680 riconosciuta come ricorrente, con periodo circumsolare di circa 76 anni, dall’astronomo inglese Edmond Halley. Sembrerebbe quindi facile, partendo dall’ultima apparizione nel 1986, retrocedere nel tempo a balzi di 76 anni per scoprire se una sua apparizione sia coincisa con gli anni di nascita di Gesù. In realtà, le comete hanno massa insignificante rispetto a quella dei pianeti per cui, quando si avventurano nel sistema solare, subiscono perturbazioni orbitali accumulando nei secoli rilevanti sfasature temporali. Registrazioni orientali attestano un passaggio incerto nell’11 o 12 a.C. e uno quasi certo nel 66 d.C. Quindi, i tempi della Halley e quelli della nascita di Gesù non coincidono. Dubbia è anche l’apparizione di un’altra cometa molto luminosa e con una lunga coda nel 5 a.C., come sostenuto nel 1991 dal fisico inglese Colin Humphreys in base ad antiche registrazioni cinesi.

Giovanni Keplero, sostenitore dell’ipotesi della congiunzione planetaria
Giovanni Keplero, sostenitore dell’ipotesi della congiunzione planetaria

Due alternative

È stato l’astronomo Giovanni Keplero a proporre nel 1614 una diversa ipotesi per la stella dei Vangeli. Riavvolgendo il nastro delle rivoluzioni planetarie sino agli anni della nascita di Gesù, Keplero ritrova diverse congiunzioni di Marte, Giove e Saturno così strette da rendere invisibili a occhio nudo i pochi gradi di separazione e farli dunque sembrare un ammasso luminoso simile a una singola stella o a una traccia luminosa continua simile a una cometa: tre congiunzioni di Giove e Saturno a distanza di pochi mesi nel 7 a.C. e una anche con Marte nel 6 a.C. Si tratta di congiunzioni planetarie tanto rare e singolari da poter trarre in inganno persino dei sapienti abituati a leggere il cielo stellato per l’orientamento notturno e la divinazione. Ma come dimostrare che così avvenne davvero? Diversa è l’ipotesi avanzata in un libro del 2012 dall’astrofisico americano Frank Tipler, secondo cui la stella di Betlemme potrebbe essere stata l’apparizione nella costellazione di Andromeda di una supernova. A dispetto del nome, si tratta di una stella molto più grande del Sole che, giunta a fine vita, va incontro a un collasso catastrofico ed emette in un tempo brevissimo una enorme quantità di energia. Un evento estremo che può manifestarsi come un globo di luce visibile per settimane a occhio nudo anche di giorno.

L’esplosione di una supernova è un evento molto raro (solo quattro nell’ultimo millennio: nel 1006, nel 1054, nel 1572 e nel 1604) e imprevedibile ma così evidente da rendere poco credibile che possa essere sfuggito agli astronomi dell’epoca. Anche le tracce fossili dell’esplosione, come un fondo di radiazione elettromagnetica o un’onda di gravità, sono svanite a distanza di 2000 anni. Eppure, una supernova rimane l’evento teoricamente più affine a quanto riportato nel Vangelo e, simbolicamente, il più degno.

Giotto fu il primo

In realtà, nel Vangelo si fa riferimento a una stella o a qualcosa di simile e non a una cometa, la cui apparizione era a quei tempi associata a eventi infausti (pestilenze, carestie e altro) e non a uno salvifico per l’umanità come la nascita del Messia. Nelle sue poche rappresentazioni, come quella sopra la capanna di Gesù in un mosaico del VI secolo nella Basilica di S. Apollinare Nuovo a Ravenna, appare come un globo luminoso in una sagoma a otto punte.

La tradizione popolare che assegna a una cometa la funzione di segnaletica celeste per i Magi nasce con Giotto, che ne dipinge una molto vistosa sull’impalcatura lignea che accoglie la Sacra Famiglia in un pannello della Cappella degli Scrovegni a Padova, realizzata dal 1303 al 1305. L’artista era stato molto colpito dalla visione di una grande cometa nel 1301 (uno dei transiti certi della cometa di Halley), tanto da rovesciare il pregiudizio negativo sulle comete in un simbolo di gloria divina, come già isolatamente sostenuto da Origene di Alessandria nel III secolo d.C. Un’idea suggestiva, sulla quale finirono per convenire tutti. Anche Campanella, che fa dipendere il buon funzionamento della sua Città del Sole dalla corretta interpretazione dei molteplici signa celesti, ritiene che fu una cometa a far da guida “spostandosi come richiedeva il percorso dei magi, e fermandosi dove era necessario”.

La data del Natale

Un altro elemento, spesso trascurato, che collega il Natale all’astronomia è il giorno di nascita di Gesù, al quale fa un vago riferimento solo il Vangelo di Luca che accenna a pastori che dormono all’addiaccio con le loro greggi. Siamo quindi presumibilmente in primavera. Perché dunque, nel silenzio delle fonti storiche, papa Giulio I nel 336 d.C. ufficializza la data del 25 dicembre?

In effetti, il 25 dicembre non era a Roma un giorno qualunque: era il giorno della festa dedicata al Sol Invictus (il Sole vittorioso), istituita dall’imperatore Aureliano nel 274 d.C. a ridosso di quel solstizio d’inverno che, per l’emisfero boreale, segna l’inizio dell’annuale rivincita della luce del giorno sul buio della notte. Al Sole che “rinasce” sono infatti dedicate ancor oggi festività civili e religiose presso molti popoli. In quel tempo, in Occidente il cristianesimo stava diventando egemone anche politicamente: attribuire un valore religioso a una festa pagana anziché istituirne una nuova aveva quindi un profondo significato sociale e religioso. Adesso è Cristo il vero Sole, la vera luce. L’equiparazione, talvolta più che simbolica, tra Cristo e il Sole, si innesta su precedenti culti solari, come quello di Mithra, e proseguirà nei secoli, con Marsilio Ficino, Copernico e Keplero.

Una scultura dedicata al Sol Invictus
Una scultura dedicata al Sol Invictus

Una ricerca continua

Tutte le ipotesi sinora avanzate per spiegare la natura della stella-guida citata nel Vangelo in termini compatibili sia con l’astronomia che con i tempi della storia non sono adeguatamente provate. Naturalmente, potrebbe essere stato un evento unico e irripetibile che non conosciamo e che non ha lasciato tracce sensibili. Oppure, dato il contesto narrativo, potrebbe essere stato un evento che trascende il piano fisico, un signum celeste visibile solo ai Magi. Il dibattito filosofico e scientifico su questo tema può continuare.