Tito Boeri: “La statistica sentinella della democrazia”

Tra le responsabilità di una classe dirigente c'è quella di non svilire il dato statistico. Intervista all'economista Tito Boeri, ex presidente Inps.

Presidente Boeri, i numeri e le analisi diffusi dall’Inps durante la sua presidenza non sono mai stati accolti con grande entusiasmo dalla politica, sia con il governo Renzi che con l’esecutivo pentastellato. Perché?
In quasi tutti i Paesi esteri le statistiche sono accettate e non se ne mette mai in discussione il fondamento, anche quando esse contraddicono certe tesi. Il principio in base al quale la misurazione dei fenomeni avviene attraverso una serie di dati e questi sono un aspetto di conoscenza condivisa in Italia viene invece messo in discussione molto spesso.  È un atteggiamento antiscientifico presente in questo Paese: per anni è stato coltivato il sospetto che qualsiasi rilevazione statistica possa in qualche modo essere distorta a proprio vantaggio.

Secondo lei da cosa dipende?
C’è poca cultura dell’analisi scientifica. È un aspetto culturale visto che storicamente abbiamo poca formazione in facoltà scientifiche, pochi laureati. E c’è scarsa consapevolezza del fatto che l’analisi dei numeri è un elemento importante dell’esercizio del controllo democratico. Se è condivisa l’idea che alcuni dati siano rilevanti, le persone li utilizzano per valutare se un governo ha fatto bene chi ha fatto male. Se chi governa male comincia a dire che il dato negativo è falso e questo non genera disappunto, è evidente che si consente a chi deve essere giudicato di alterare a proprio vantaggio i numeri. Dovrebbe essere una responsabilità della classe dirigente di un Paese quella di non svilire il dato statistico.

Spesso i vostri numeri non hanno coinciso con quelli del governo. Tra i casi più eclatanti il reddito di cittadinanza (Rdc): per il ministero del Lavoro la platea degli aventi diritto è di 4 milioni di persone, per l’Inps di 2,4 milioni.
In questi 4 anni abbiamo cercato di valorizzare i dati che l’Inps raccoglie nell’esercizio delle sue funzioni. Sono dati di fonte amministrativa che si combinano molto bene con dati di fonte campionaria. La novità che abbiamo introdotto è quella di cercare di incrociarli. Un esempio del successo di questo lavoro è la valutazione del reddito di cittadinanza. Abbiamo utilizzato l’archivio delle Dsu, le dichiarazioni sostitutive uniche presentate dai cittadini che vogliono accedere a prestazioni socioassistenziali di varia natura. Le Dsu non sono rappresentative della popolazione italiana e neanche di chi fa domanda per il Rec, perché chi le compila lo fa per le ragioni più varie. Per ottenere statistiche rappresentative, le abbiamo incrociate con i dati di natura campionaria Istat delle rilevazioni sulle condizioni di vita (It Silc). L’incrocio ci ha consentito di controllare la veridicità delle Dsu. Può accadere, infatti, che il cittadino sottodichiari per rientrare nelle soglie previste per accedere a determinate prestazioni. Il ministero del Lavoro ha preso in considerazione invece solo i dati delle Dsu e quindi anche le relazioni tecniche sul provvedimento Rec si basano su un campione non rappresentativo. Per questo motivo loro ottengono risultati diversi dai nostri.

“I DATI SONO UN PATRIMONIO DI CONOSCENZA CONDIVISO E UN RIFERIMENTO PER IL DIBATTITO PUBBLICO. NON SVILIRNE L’ANALISI È UN COMPITO DELLA POLITICA”

Si spiega così anche la vostra relazione sul decreto Dignità, quando per aver calcolato gli effetti sul saldo negativo dei posti di lavoro vi hanno accusato di essere una “manina” che getta discredito sul governo?
Quella è un’altra storia. All’interno dell’Inps è istituito un Coordinamento statistico attuariale che opera come un raggruppamento disciplinare non sottoposto gerarchicamente alle strutture. È composto da statistici e attuariali che appartengono agli ordini, hanno una credibilità scientifica che devono difendere e sono loro ai quali viene dato il compito di svolgere relazioni tecniche sui provvedimenti che vengono proposti dal ministero del Lavoro. Il mio ruolo in questi casi si limita a valutare se ci siano problemi di natura metodologica, ma le relazioni sono firmate da persone che rispondono del loro operato di fronte alle comunità scientifiche di appartenenza. La relazione sul decreto Dignità era stata inviata al ministero molto prima che il decreto fosse reso noto. Il ragionamento su cui si basa evidenzia che se si aumentano i costi sulle assunzioni sia per i contratti a tempo indeterminato che a tempo determinato, è inevitabile che ci sia un effetto negativo sul lavoro. Ed è esattamente ciò cui stiamo assistendo: tutti i dati ci dicono che ci sono saldi occupazionali negativi e questo già da prima del rallentamento dell’attività economica. L’idea che dati come questi possano essere alterati è pericolosissima. Lo dico anche mettendomi nei panni del politico che deve andare a negoziare con Bruxelles queste misure: deve andare alla Commissione europea per difendere quegli stessi numeri che il giorno prima ha attaccato e ha detto a tutti che non servono a niente.

Le vostre analisi sono frutto anche del fatto che l’Inps ha aperto le porte delle banche dati alla ricerca.
Abbiamo coinvolto ricercatori che ci hanno aiutato a migliorare le banche dati e abbiamo dato la possibilità a chi fa ricerca scientifica di fare analisi sui temi che ci interessavano, come il voucher asilo nido, il Jobs act o gli effetti occupazionali della stabilizzazione degli immigrati del 2002. Questi studi sono pubblicati nella sezione workInps paper del sito Inps. Abbiamo introdotto una policy per regolare l’accesso alle nostre banche dati: gli osservatori statistici sono accessibili a tutti, anche utilizzando metafile che consentono di combinare diverse dimensioni di informazioni. I file standard, che contengono informazioni individuali ma rese anonime, possono essere forniti a ricercatori accreditati che presentano un progetto di ricerca. Il terzo livello è quello di Visit Inps, attraverso il quale i ricercatori delle migliori università del mondo che presentano progetti valutati da un comitato scientifico hanno accesso direttamente ai nostri archivi, anche se comunque i dati non consentono l’identificazione individuale.
Abbiamo concesso accesso remoto in alcune sedi dell’Inps e stiamo valutando se concederlo anche ad alcune università straniere.

Un’altra operazione trasparenza sono state le buste arancioni e cioè la possibilità data ai cittadini di calcolare la propria pensione. La sua iniziativa 3 anni fa non è stata accolta a braccia aperte.
Ci sono state tante resistenze all’inizio, sia all’interno che all’esterno. C’erano timori che l’iniziativa potesse alimentare diffidenza, ostilità. Qualche politico mi ha anche accusato di avergli fatto perdere le elezioni. Nonostante ciò, siamo andati avanti e ora sono molte le richieste di accedere a questi informazioni da parte di chi vuole andare in pensione con Quota 100. Questa operazione doveva essere fatta nel ‘96 perché prevista dalla riforma Dini che ha introdotto il sistema contributivo. Ma abbiamo iniziato solo dieci anni dopo.

Altri strumenti importanti che lei ha reinterpretato sono gli osservatori statistici e le audizioni. Entrambi fonti di polemiche a non finire.
Abbiamo riorganizzato gli osservatori, chiudendone alcuni e creandone di nuovi. Penso all’osservatorio sul precariato con il quale abbiamo monitorato bene l’evoluzione del Jobs act. Sono numeri entrati nel dibattito pubblico: si tratta di dati amministrativi più efficaci per valutare la congiuntura dei dati Istat sull’occupazione. I dati campionari a livello mensile si basano su un modello molto piccolo e c’è molta fluttuazione nel dato. I risultati trimestrali dell’osservatorio sono invece più solidi e offrono anche rappresentazioni di realtà piccole come quelle provinciali ma di per sé rappresentative.

IN ITALIA C’È POCA CULTURA DELL’ANALISI SCIENTIFICA. E C’È SCARSA CONSAPEVOLEZZA DEL FATTO CHE L’ANALISI DEI NUMERI È UN ELEMENTO IMPORTANTE DELL’ESERCIZIO DEL CONTROLLO DEMOCRATICO.

Le sue audizioni in Parlamento non passano mai inosservate…
Anche queste sono diventate un’occasione che usiamo per presentare i nostri dati. Penso che l’Istituto abbia una sua autonomia e che questa sia fondata anche sul processo di nomina del presidente, che deve passare al vaglio delle commissioni parlamentari, come le Authority. Quando sono stato designato, sono andato alla commissione parlamentare chiedendo un gradimento, altrimenti non avrei assunto l’incarico. Procedendo con questa logica, tutte le volte che ci hanno convocato, invece di mandare un funzionario per presentare una relazione con pochi dati e piena di dettagli giuridici, ho fatto lavorare molto la struttura cercando di tradurre i numeri in un linguaggio che fosse comprensibile ai politici innanzi tutto e poi al pubblico.

La politica tutto sommato l’ha ascoltata. Lei tra i primi aveva lanciato l’allarme sulla povertà e la necessità di uno strumento di supporto per i meno abbienti.
Ci sono molti temi che sono stati presi in considerazione. La questione del cumulo dei periodi contributivi in gestioni diverse, ad esempio. Sul tema della povertà abbiamo fatto proposte, anche se sono state recepite in modo diverso. Il Reddito di inclusione era un impianto molto vicino a quanto noi proponevamo, ma aveva pochi fondi. Ora hanno trovato i fondi ma invece di ampliare la platea è stata creata una cosa molto diversa che lo rende più vulnerabile e difficile da controllare. Anche sull’uscita flessibile dal mercato del lavoro avevamo fatto proposte sostenibili. Per attuarle sarebbe stata necessaria una battaglia a livello comunitario, perché per fare un’operazione di quel tipo bisogna spendere di più nel breve periodo giocando sul bilancio intertemporale. Non si aumenta il debito pensionistico ma, poiché si permette a più persone di andare in pensione, oggi avrò nell’immediato un aumento della spesa pensionistica che però verrà compensato più avanti dal fatto che l’importo della pensione è più basso. Non ho un impatto sul debito pensionistico, ma avrò un impatto sui saldi di bilancio anno per anno. A Bruxelles bisognava spiegare che, non essendoci un impatto sul debito, si poteva usare la flessibilità per spendere di più per le pensioni subito recuperando nel tempo. Il governo Renzi ha preferito, invece, usare i margini di flessibilità per erogare i vari bonus. Non so quale sia stata la cedola politica di tale scelte. Se avesse investito sulle uscite flessibili probabilmente molte persone sarebbero state contente e avrebbe tolto un argomento agli altri concorrenti politici.

La sua esperienza è ormai terminata. Quale sono le priorità per chi arriva?
Sono tantissime le cose da fare. Una cosa importante che abbiamo fatto è investire molto nel miglioramento della raccolta contributiva e nella repressione delle frodi, utilizzando molte fonti statistiche e facendo una vigilanza documentale, visto che non abbiamo più gli ispettori. Il lavoro sulle banche dati è un riferimento costante. Bisognerebbe riflettere su alcune candidature per la presidenza dell’Istituto: vorrei ricordare che i consulenti del lavoro si sono battuti spesso per indebolire la deterrenza di certi comportamenti.

 

da Prisma n.5 | Marzo 2019