È più facile trovare gli alieni o l’anima gemella?

Appassionati di E.T. e cuori solitari alle prese con il calcolo delle probabilità.

Leggenda vuole che nel 1950 Enrico Fermi, già premio Nobel per la fisica 12 anni prima, stesse parlando coi suoi colleghi statunitensi di un presunto avvistamento di Ufo. Tutti i presenti concordavano sulla probabile esistenza degli alieni, ma da qui a parlare di dischi volanti sopra le loro teste ce ne passava. In quell’occasione, però, Fermi pose una domanda: se, considerato il numero di stelle e pianeti nell’universo, è così probabile che gli alieni esistano, perché ancora nessuno si è messo in contatto con noi? Il quesito è passato alla storia come Paradosso di Fermi.

C’è nessuno?

Ci sono diverse possibili risposte a questo paradosso. La più importante l’ha forse fornita il radioastronomo Frank Drake, lo stesso che propose l’idea del progetto Seti (Search for Extraterrestrial Intelligence) per captare eventuali trasmissioni radio extraterrestri e che ideò il messaggio mandato nello spazio con il grande radiotelescopio di Arecibo per segnalare la nostra esistenza. Insomma, uno che da quasi sessant’anni cerca di parlare con gli alieni. Nel 1961 Drake formulò la cosiddetta “equazione di Drake”, che cerca di dare una stima del numero di civiltà aliene attualmente presenti nella Via Lattea e in grado di comunicare con noi:

N = R* × fp × ne × fl × fi × fc × L

N è il numero di civiltà extraterrestri presenti oggi nella nostra galassia capaci di comunicare all’esterno del proprio pianeta. N dev’essere almeno 1, perché noi ci riteniamo intelligenti e capaci di comunicare con l’esterno (fingiamo per un attimo che entrambe le cose siano vere).

R* è il tasso medio annuo con cui si formano nuove stelle nella Via Lattea: da 1,5 a 3 stelle l’anno; prendiamo per ora la media delle stime: 2,25.

fp è la frazione di stelle che possiedono pianeti: per diverso tempo si è pensato che fosse 0,6 cioè il 60%; oggi sappiamo che potrebbe essere anche molto vicina a 1; anche qui, mettiamo 0,8 e non pensiamoci più.

ne è il numero medio di pianeti, per sistema planetario, in condizione di ospitare forme di vita: un tempo si stimava un numero fra 1 e 2, poi l’ottimismo ha preso il sopravvento e si è parlato di un valore fra 3 e 5; mettiamo 2,5 e via il dente.

fl è la frazione dei pianeti ne su cui si è effettivamente sviluppata la vita: una possibile stima è il 10-15%, quindi 0,10-0,15; la media sarebbe 0,125, facciamo 0,13 perché siam mica qui a risparmiare!

fi è la frazione dei pianeti fl su cui si è evoluta vita intelligente: c’è chi pensa sia prossima a 0, chi invece dice che sia 1 (cioè il 100%); per non fare torto a nessuno scriviamo 0,5.

fc è la frazione di civiltà extraterrestri in grado di lanciare segnali nello spazio: in questo caso una stima generalmente accettata è il 10% ovvero 0,1.

L, infine, è la stima della durata di una civiltà evoluta: questo numero è probabilmente il più dibattuto. Alcuni sostengono che una civiltà intelligente trovi prima o poi il modo di sopravvivere all’infinito. L’idea di tali scienziati, fra cui lord Martin Rees, da molti considerato il più grande astrofisico vivente, è che nonostante la vita intelligente organica ci abbia messo circa 3 miliardi e mezzo di anni a emergere, entro pochi secoli potrebbe trasferire se stessa all’interno di macchine e computer. E una civiltà di macchine potrebbe essere praticamente eterna (a patto che nessuno stacchi la spina). In ogni caso, se si utilizza come campione statistico una trentina di civiltà successive all’Impero romano, è possibile calcolare una vita media di 304 anni per le civiltà “moderne”. Bisognerebbe però capire quanto sia vero che la caduta di una civiltà porti a una perdita delle sue tecnologie, perché sulla Terra non sempre è stato così. Inoltre, quanto senso ha considerare le civiltà terrestri come modello significativo delle civiltà galattiche? Il punto è che fino a che non ne troviamo una non lo sapremo mai. Quindi per ora teniamoci buono il valore di 3 secoli.

Il calcolo delle probabilità

Utilizzando le nostre stime dei parametri, il valore totale di civiltà intelligenti capaci di comunicare nella nostra galassia risulta essere circa 8,8. Arrotondiamo a 9 civiltà. Una siamo noi. Nella Via Lattea, stella più stella meno, dovrebbero esserci circa 200 miliardi di stelle. Puntandone quindi una a caso e mettendoci in ascolto per captare un possibile segnale da una civiltà abitante un pianeta in orbita attorno a quella stella, la probabilità di riceverlo è dello 0,000000004%. Tanti cari auguri…

Ma è anche vero che, come detto, i valori dei parametri sono molto discussi. Drake all’epoca ne usò di diversi (perché diverse erano le stime di allora), ma ammise che era possibile sbagliare anche di un fattore 100.000. Tutt’oggi c’è chi sostiene che le altre civiltà intelligenti nella Via Lattea siano addirittura 156 milioni. Altri invece sono convinti che il numero sia tendente a zero, e che quindi saremmo gli unici nella galassia. Nessuna delle due stime è però molto realistica e particolarmente accettata dalla comunità scientifica. Questo anche perché Drake è stato furbo. Il suo trucco di dividere la formula in tanti fattori da moltiplicare fa sì che, invece di fare un’unica grossa supposizione, se ne facciano molte piccole. Potreste domandarvi quanto sia meglio aumentare il numero di valori da sparare a caso anziché averne uno solo, ma in teoria gli errori sui singoli fattori dovrebbero compensarsi l’uno con l’altro. Questo a meno che le stime non siano tutte influenzate da un estremo ottimismo o pessimismo, come nei due casi appena citati. Ma ipotizziamo per un attimo che la stima dei 156 milioni di civiltà sia corretta: le probabilità di ricevere un segnale da loro puntando una stella a caso sarebbero comunque dello 0,078%. Insomma, forse è meglio lasciare lo spumante al fresco.

Cuori solitari

Per capire quanto sia improbabile ricevere una telefonata da E.T., riprendiamo un esercizio svolto nel 2010 da Peter Backus, matematico dell’Università di Warwick, in Inghilterra, e single di lunga data. Backus ha scritto un articolo, dal titolo Why I don’t have a girlfriend, in cui stima la probabilità di trovare l’anima gemella. E lo ha fatto applicando la formula di Drake alla ricerca della partner, inserendo le stime sulle femmine terrestri anziché quelle sulla Via Lattea: numero di donne presenti nel mondo, frazione di quelle che abitano nelle sue vicinanze, percentuale di quelle con un’età compatibile ecc. A essere onesti, Backus ha applicato criteri un po’ troppo stringenti. Per lui, per esempio, era assolutamente importante che la potenziale metà avesse una laurea, magari in una disciplina scientifica affine alla sua (del genere “Dio li fa e poi li accoppia”). A ogni modo, il buon Backus ha trovato un valore di 26 persone nel mondo capaci di rispettare i suoi criteri selettivi. Su circa 3,5 miliardi di donne esistenti sulla Terra nel 2010. La probabilità di Peter di puntare una donna a caso e trovare in lei l’anima gemella era dunque dello 0,0000007%. Un risultato abbastanza deprimente. Che però è pur sempre 175 volte maggiore della probabilità di trovare un segnale di una civiltà intelligente puntando una stella a caso della nostra galassia. Dev’essere stato l’entusiasmo dato da questa comparazione ad aver convinto il nostro Peter a sposarsi qualche anno dopo!