Continua, con questo secondo numero che avete tra le mani, il viaggio di Prisma. L’esordio è stato salutato con una simpatia che alla redazione ha fatto indubbiamente piacere e con una solidarietà quasi ammirata della nostra beata incoscienza (“ma vi rendete conto del pasticcio nel quale vi siete cacciati?”). Non sono mancati i suggerimenti, sull’impostazione generale della rivista e sui singoli articoli, e soprattutto sulle 16 pagine di giochi e i loro procedimenti risolutivi, con la proposta di percorsi alternativi e più semplici. Ne parla anche l’editore nella sua rubrica “Ditelo a Prisma”, in cui risponde ad alcuni messaggi che ci sono arrivati.
Ringraziamo tutti e promettiamo di continuare l’impegno a scrivere di matematica, giochi e idee sul mondo. Cercheremo via via di aggiustare il tiro, ma il progetto rimane quello di cui dicevo nel primo editoriale e che adesso, cari lettori, potete valutare nella sua realizzazione concreta anche attraverso il secondo numero di Prisma. Parleremo di matematica, certo, dei matematici e delle loro attività. Ma soprattutto del mondo, mostrando come il linguaggio e la cultura scientifica permettano di capirlo meglio, di criticare più in profondità e con un maggior numero di ragioni alcune sue manifestazioni. Insomma, di sentirsi cittadini consapevoli.
Rispetto a questa rotta, la parola “divulgazione” dice e non dice. Non è del tutto esplicativa del progetto che abbiamo in mente. Mancano forse termini più adeguati e non è un caso: nella tradizione dei periodici italiani non sono molti i punti di riferimento ai quali Prisma può appoggiarsi. Uno, un po’ lontano nel tempo, è rappresentato da Civiltà delle macchine. Parliamo degli Anni 50 del secolo scorso. Dirigeva questa rivista un poeta laureato in ingegneria, Leonardo Sinisgalli, capace di trasformare una testata aziendale (di Finmeccanica) in una vera e propria rivista culturale. Della sua opera di divulgazione scientifica (continuiamo a chiamarla così, per brevità e fedeltà ai tempi), lo scrittore Dino Buzzati scriveva che nelle sue pagine “gli scienziati e i tecnici parlano da tecnici e scienziati come se si rivolgessero a persone dello stesso livello, non fanno sorrisetti, non ammorbidiscono la voce (…). Il lettore, sentendosi trattato su un piede di assoluta parità, si sente lusingato e fa di tutto per essere all’altezza. La regola normale della divulgazione è che lo scienziato scenda. Qui è il lettore che s’innalza”. Ci piacerebbe che qualcuno, in futuro, potesse usare parole analoghe nei nostri confronti.