WHAT IF… si scavasse un buco fino agli antipodi e vi si gettasse dentro un bigné

Nel 1989 un pozzo petrolifero scavato nella penisola di Kola, nella Russia nord-occidentale, ha raggiunto la profondità record di 12.262 metri. È molto se si pensa ai pozzi normali, ma è pochissimo in confronto al diametro della Terra: oltre 12.700 chilometri, più di mille volte la profondità del pozzo di Kola. In pratica, finora abbiamo solo grattato leggermente la superficie del nostro pianeta. Andare oltre diventa a ogni chilometro più arduo per le difficoltà ingegneristiche ed è difficile pensare che in futuro si potrà superare di molto il primato di Kola. Arrivare all’estremità opposta della Terra è fantascienza pura, anche perché il nucleo terrestre raggiunge temperature di oltre 5.000 gradi e pressioni di milioni di atmosfere: nessun materiale conosciuto resisterebbe in condizioni così estreme. Proviamo però a ipotizzare questo scenario impossibile. Di più: proviamo a capire cosa accadrebbe se, una volta scavato un pozzo da un capo all’altro della Terra, ci lasciassimo cadere dentro un oggetto, per esempio un bignè.
È quello che hanno immaginato di fare alcuni matematici, per il gusto di speculare (senza però citare il bignè). Il primo è stato, alla fine del Seicento, lo scienziato inglese Robert Hooke, che ne discusse anche con Newton. Del resto, la legge della gravitazione universale basta a descrivere tutto quello che succederebbe.
Per questo esperimento mentale bisogna innanzitutto considerare condizioni ideali, cioè concretamente irrealizzabili ma comode per semplificare i calcoli. Assumiamo dunque che la Terra sia una sfera perfetta, che la sua composizione geologica sia omogenea e che nel pozzo non ci sia aria (per evitare gli effetti dell’attrito). Prendiamo dunque due punti agli antipodi – possibilmente sulla terraferma – come per esempio la Cina del Nord e la Patagonia. Supponiamo ora che qualcuno all’estremità cinese del pozzo lasci cadere un bignè. Via via che il bignè scende, la sua velocità aumenta, fino ad arrivare al valore massimo al centro della Terra. A questo punto, sullo slancio, il bignè prosegue il suo tragitto verso la Patagonia, ma l’attrazione della Terra inizia a frenare la sua corsa anziché accelerarla. Così, il bignè rallenta gradualmente sbucando alla superficie a velocità zero: in quell’istante è fermo, proprio come nel momento in cui aveva iniziato la caduta. Subito dopo però l’attrazione gravitazionale lo trascina di nuovo verso il centro della Terra, e poi oltre fino alla Cina. E così via: il bignè oscilla all’infinito come un pendolo. Il tempo che impiega ad arrivare ogni volta da un estremo all’altro è sorprendentemente breve: 42 minuti e 12 secondi.
La cosa curiosa è che il tempo sarebbe lo stesso su un pianeta molto più grande, come Giove: la distanza da percorrere è molto maggiore, ma lo è anche l’accelerazione del bignè a causa della fortissima attrazione gravitazionale (viceversa, su un pianeta picco lo come Mercurio, è minore il diametro ma anche l’attrazione).
Non solo: il tempo sarebbe lo stesso anche se il pozzo fosse scavato fra due località a caso, come per esempio Stoccolma e Trapani. Qualcuno quindi ha pensato che un eventuale “tunnel gravitazionale” fra due città le collegherebbe in un tempo molto minore rispetto ai viaggi aerei. Questo però non è possibile nella realtà: al di là delle difficoltà tecniche – teoricamente sormontabili – resterebbero quelle fisiche. Non dimentichiamo che l’esperimento iniziale era condotto in condizioni ideali. Se si considera anche solo la presenza dell’aria (che nella pratica è inevitabile nel pozzo), allora cambia tutto: l’attrito rallenta il bignè, che quindi non riesce ad affacciarsi alla superficie in Patagonia; continuando, le oscillazioni diventano sempre meno ampie finché, alla lunga, il bignè si ferma al centro del la Terra. Nel caso di un tunnel fra due città, i viaggiatori resterebbero intrappolati nel sottosuolo prima di arrivare a destinazione.

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